Una donna in Prato della Valle
Elvira Serra Corriere della Sera 3 gennaio 2022
C’è chi già parla di cancel culture. Anche se qui, in realtà, più che cancellare, si vuole aggiungere qualcosa. Anzi, qualcuno. Una donna, su uno dei piedistalli rimasti vuoti nei due anelli che circondano l’Isola Memmia sul Prato della Valle di Padova, una delle cinque piazze più grandi d’Europa. Le statue, 78 e tutte numerate, raffigurano soltanto uomini, da Michele Savonarola a Galileo Galilei, da Francesco Petrarca a Torquato Tasso. In linea con lo spirito dei tempi: i lavori di bonifica dell’area, voluti dall’allora provveditore Andrea Memmo, erano partiti nell’estate del 1775. Delle ottantotto statue di personalità eccellenti di Padova o con un legame con la città, sei furono distrutte dall’esercito napoleonico (perché raffiguravano dogi veneziani); al loro posto furono messi degli obelischi e due piedistalli rimasero vuoti. «Forse non è così risaputo che i soggetti cui sono dedicate le effigi lapidee sono tutti, senza alcuna eccezione, uomini», c’è scritto nella mozione presentata il 21 dicembre in consiglio comunale da Simone Pillitteri e Margherita Colonnello, su suggerimento di Anna Piva, cittadina sensibile alle tematiche di genere e innamorata della figura di Elena Lucrezia Cornaro Piscopia, prima donna nel mondo a essersi laureata proprio a Padova, nel 1678.
1686 In morte di Elena Lucrezia Cornara Piscopia accademica
È a lei che viene proposto di dedicare la statua da aggiungere su uno dei piedistalli vuoti. «Ha aperto idealmente la strada a un percorso che oggi vede, nel nostro Ateneo, una quota di dottoresse pari, e in alcune materie nettamente superiore, a quella dei colleghi, oltre alla prima Magnifica Rettrice dopo 800 anni di storia». Sul Mattino di Padova il soprintendente Fabrizio Magani ha manifestato apertura, sia sull’iniziativa che sulla scelta del nome: «Inserirla nel pantheon delle glorie venete contribuirebbe a dotare la città di un nuovo modello di ispirazione e sarebbe coerente con la ragione per cui anche le altre statue si trovano lì». Ma non sono mancate le critiche: dei puristi, docenti o ex amministratori, che hanno avuto da ridire. Dimenticando lo spirito con cui è nata la mozione, che vuole dare un segnale di come oggi la realtà, e la sensibilità, siano diverse.
«L’argomento è molto più ampio e va al di là della singola statua», interviene la magnifica rettrice Daniela Mapelli, prima donna a ricoprire l’incarico in otto secoli di vita dell’ateneo padovano. Al telefono, puntualizza: «Io la cancel culture la trovo pericolosa, ma penso che si possa ripartire da ora. Ci sono tante donne contemporanee che stanno facendo la storia. Il vero tema è che, non solo a Padova, ma in tutta Italia, anche i nomi delle vie e delle piazze rispecchiano una cultura che appartiene al passato. È importante che la storia cominci a cambiare, e non per riscriverla».
2021 Statua di Cristina Trivulzio di Belgiojoso, Milano
Un paio di mesi fa, dopo il caso della spigolatrice «sexy» di Sapri, l’associazione «Mi Riconosci» censì, attraverso professionisti dei beni culturali, statue e monumenti femminili in tutta Italia. Il risultato, sconfortante, fu di 148 statue, sessanta delle quali raffiguravano donne anonime, partigiane, mondine, lavandaie. Mettendo insieme Roma, Napoli, Milano, Torino, Firenze, Bologna, Bari, Palermo, Cagliari e Venezia, il totale è di venti statue (sono escluse quelle che si trovano nei cortili pubblici o privati e che rappresentano figure allegoriche).
«È importante che questo dibattito sia partito a Padova», chiude Mapelli. Ma sulla scelta di Elena Lucrezia Cornaro Piscopia ha qualche riserva: «La sua statua l’abbiamo già nel nostro ateneo e quella è la sua casa. Per il Prato della Valle non si deve pensare necessariamente a lei. È giusto che nella scelta venga coinvolta la città intera».
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