Patria e Nazione non coincidono
Livio Ghelli
Iniziamo dalle parole:
Patria, sostantivo femminile, è l’ambito territoriale, di tradizioni e cultura cui si riferiscono le esperienze affettive, morali, politiche di un individuo in quanto appartenente a un popolo.
Patriottismo, sostantivo maschile, è il sentimento di amore e devozione verso la patria. Patriota, sostantivo maschile e femminile, significa amante della patria e pronto a lavorare e lottare per essa.
Nazione è, o forse era, qualcosa di un po’ diverso dalla patria: definiva un complesso di individui legati da una stessa lingua, da una stessa storia, da una stessa civiltà, dagli stessi interessi, in antico anche da una stessa religione imposta dal sovrano.
Dunque, Patria e Nazione non coincidono. Un esempio: nella nostra penisola da secoli vivono comunità di lingua albanese, greca, ladina, francese, tedesca, slovena. Sono circa due milioni e mezzo di italiani, con una lingua madre diversa dall’italiano. Senza contare la comunità Rom. Ovviamente tutti imparano l’italiano a scuola e la loro patria è l’Italia. Ma la loro identità, le loro radici, parole, canzoni, cibo, danze, preghiere affondano –dovrei dire affondavano, oggi siamo tutti omologati- in una terra diversa di cui conservano il ricordo. Altro esempio: un altoatesino può battersi con valore per difendere la patria italiana anche se la sua lingua madre è il tedesco.
Il fascismo, a suo tempo, intervenne con ferocia per italianizzare forzatamente questi cittadini di lingua e tradizioni diverse: divieto assoluto di esprimersi nella propria lingua, cognomi e nomi di luoghi sostituiti con nomi italiani, monumenti e simboli nazionali distrutti, maestri locali licenziati, bastonature, fucilazioni, campi di concentramento di cui pochissimo si sa. Mi riferisco al periodo tra le due guerre, dal 1918 al 1940, e ad una repressione iniziata da governi sedicenti liberali già prima dell’affermarsi della dittatura, che poi fece di peggio.
Situazioni analoghe, di nazionalità diverse in una patria comune, le troviamo sia in Europa che in tutti gli Stati del Mondo: Irlandesi, Gallesi, Scozzesi, Inglesi nel Regno Unito, Fiamminghi e Valloni in Belgio, Baschi e Catalani in Spagna, Indios dell’Amazzonia in Brasile, Quechua e Aimara in Perù. Conflitti sono nati, spesso, tra lo Stato che considerava queste minoranze con lingue e culture diverse, al proprio interno, come corpi estranei, da assimilare, o assoggettare, o anche distruggere. In nome dell’unità della Nazione.
Bisognerebbe invece riuscire a creare una identità comune a tutti i gruppi etnici, linguistici, religiosi e regionali in modo che si sentano parte della stessa comunità politica: tutti, nessuno escluso, e senza che un determinato gruppo etnico o sociale mantenga le posizioni di potere e di comando a spese degli altri. La costruzione della Nazione richiede giustizia e uguaglianza assolute. E altre cose: la solidarietà di tutti, il consenso generale sui valori fondamentali, l’accettazione dell’unità nella diversità… Un lavoro immenso. Massimo d’Azeglio, consapevole, diceva: “Fatta l’Italia bisogna fare gli Italiani”.
Vorrei terminare con Rousseau: “Soltanto in democrazia lo Stato è veramente la patria di tutti gli individui che lo compongono e può contare su tanti difensori interessati alla sua causa quanti sono i suoi cittadini.” Uno stato democratico, appunto. Ma quanti sono al mondo gli stati veramente democratici? E le garanzie democratiche, il diritto ad avere diritti, valgono per i soli cittadini, o valgono, come sarebbe giusto, per tutti compresi i migranti, gli esuli, i senza patria? Perché è questo il punto.