L’evo moderno è finito. Comincia il medio-evo degli specialisti. Oggi anche il cretino è specializzato Ennio Flaiano
La tragedia di Genova con il crollo del viadotto Morandi e la drammatica perdita di vite umane al di là della doverosa ricerca di verità sulle responsabilità politiche e penali di questo disastro pone delle domande su cui è necessario riflettere e dare risposte non emotive né tantomeno ideologiche.
In primis capire perché negli ultimi anni il nostro Paese che aveva scommesso sulla sua modernizzazione, di cui le infrastrutture come le autostrade e i loro viadotti, le linee ferroviarie e le gallerie, i gasdotti e le relative condotte sottomarine sono state e sono la nervatura principale, ha smesso di pensare in grande ed alle grandi opere.
E’ diventata l’Italia del fare e disfare. Dell’Alta Velocità tra Torino e Lione (Tav) si discute dal 1994 e i lavori preparatori sono iniziati nel 2011; ora è stata avviata una analisi costi benefici per una sua «revisione integrale». Del Gasdotto transadriatico (Tap) si discute dal 2003 e l’opera è iniziata nel 2016; ora il governo esprime dubbi e vuol riaprire la valutazione d’impatto ambientale.
E’ vero anche che le grandi opere a volte sono diventate un pozzo senza fondo di denaro pubblico dai tempi della progettazione di queste opere al momento conclusivo della loro realizzazione, ma la diffidenza dell’opinione pubblica sulla loro utilità è dovuta soprattutto alla presa mediatica di parole d’ordine, sovente ideologiche, della lotta alla corruzione e della difesa dell’ambiente.
Per molti, opera pubblica è sinonimo di corruzione. E più grande è l’opera , più grave è la corruzione L’unico modo per bloccare il malaffare è smettere di farne. Se non ci sono appalti per opere pubbliche non ci sono nemmeno mazzette che passano di mano.
Ci sono poi quelli che pensano di battersi per la conservazione dell’ambiente, per i quali qualunque opera pubblica di grandi dimensioni è un attentato alla natura, una violenza all’ambiente con un sottofondo ideologico di critica allo sviluppo capitalistico in nome di una vagheggiata decrescita felice.
Eppure a partire dagli anni del Risorgimento la formazione dello Stato unitario è stata accompagnata da un processo di modernizzazione insieme alla crescita democratica della società italiana, che ha attraversato l’età giolittiana, la Grande Guerra, il fascismo, fino agli anni 60 del Novecento, gli anni del Boom economico.
Infatti la lungimiranza politica di Cavour nella realizzazione di infrastrutture ferroviarie nel suo Piemonte sta a dimostrare quanto il processo storico del Risorgimento italiano sia stato strettamente legato al processo di modernizzazione del nostro Paese, che partì appunto dal Piemonte per estendersi a tutta l’Italia unita
Una modernità che comportò anche dei prezzi: in primo luogo i costi sia per la costruzione sia per gli espropri per ragioni di pubblica utilità, il disagio per i residenti nel territorio per tutto il tempo dei lavori ed infine la modificazione del paesaggio naturale talora in maniera brutale come nel caso del traforo del Frejus.
I benefici per i cittadini alla fine furono superiori ai costi, nel passaggio da una società chiusa e statica ad una società aperta e dinamica in uno sviluppo non solo economico ma anche culturale della Nazione.
Oggi però per vincere le paure, talora giustificate, dell’opinione pubblica e del popolo rispetto ad una Modernità che ultimamente produce disastri l’elités tecnico-politiche italiane devono ritrovare un’autorevolezza, data da leggi e norme chiare, sulla gestione delle grandi opere, sui tempi e costi della loro realizzazione ed anche della loro periodica manutenzione, un’autorevolezza che avevano quando nell’Ottocento dopo l’unità c’era ed era efficiente il Genio civile, il quale fece letteralmente l’Italia, costruendo strade, ponti, edifici pubblici. Li progettava, li realizzava, li manuteneva. Non a caso aveva il corpo di ingegneri civili più prestigioso d’Italia!
Il compito della politica pertanto come sua ragione d’essere resta quello di costruire il futuro e non distruggere il passato facendosi condizionare da culture populiste ed antimoderniste in nome di una decrescita tutt’altro che felice
Altrimenti torneremo ai tempi in cui nelle strade polverose delle nostre campagne i signori giravano in calesse ed i paesani procedevano faticosamente a dorso di muli !
Sergio Casprini