Dino Messina Corriere della Sera 10 febbraio 2023
Adriatico amarissimo, slogan coniato da Gabriele d’Annunzio, è stato scelto da Raoul Pupo, il maggiore storico delle vicende novecentesche sul confine orientale dell’Italia, come titolo del libro che esce in edicola venerdì 1° febbraio con il «Corriere», al prezzo di 9,90 più il prezzo del quotidiano, in occasione del Giorno del Ricordo. Terra di cerniera tra i mondi italiano, slavo e germanico, quella che noi chiamiamo Venezia Giulia è stata l’epicentro di una feroce lotta tra nazionalismi di cui ha fatto le spese una pacifica e laboriosa popolazione.
Il carattere antislavo del fascismo di confine si manifestò con le leggi che vietavano l’insegnamento in lingue che non fossero l’italiano, nella soppressione delle scuole slave, nella repressione del clero. In questo quadro si inserisce la nascita delle prime formazioni clandestine che compirono sanguinosi attentati a Trieste e in Istria. Le loro azioni furono severamente punite. Quattro degli 87 arrestati furono condannati a morte. Il luogo dell’esecuzione fu il poligono di Basovizza. Non lontano dalla miniera dove nel maggio 1945 vennero gettati i corpi di qualche centinaio di italiani uccisi dalla polizia di Tito.
Non è un caso che l’atto simbolico di riconciliazione più significativo tra sloveni e italiani sia avvenuto a Basovizza il 13 luglio 2020 dove i presidenti Sergio Mattarella e Borut Pahor hanno reso omaggio alle vittime dei due fronti.
Pupo dedica lunghi e intensi capitoli alle due stagioni delle foibe, quella dell’autunno 1943, che ebbe come teatro l’Istria e quella del maggio 1945, quando a Trieste, Gorizia e Fiume e in tutta l’area della Venezia Giulia si svolse una feroce resa dei conti in cui a pagare non erano soltanto i fascisti. L’obiettivo delle forze titine era triplice: punire i crimini, epurare la società da elementi scomodi e intimidire la componente italiana. Tuttavia per Pupo non si può parlare di genocidio, quanto di stragismo e di sostituzione nazionale. Tito ebbe mano più pesante con i collaborazionisti sloveni o con gli ustascia croati e riguardo agli italiani il suo braccio destro Edvard Kardelj si raccomandava di punirli in base al fascismo e non alla nazionalità. Ma i metodi usati furono molto pesanti e alla fine circa 300 mila italiani, oltre l’80 per cento dei residenti, abbandonarono le case dei padri. È lo stesso Pupo ad aver parlato in altra occasione di una «catastrofe demografica». Esemplare è l’esodo da Pola, dove andarono via quasi tutti, 28 mila abitanti su 30 mila circa, dopo la strage di Vergarolla del 18 agosto 1946: oltre cento morti sulla spiaggia cittadina per l’esplosione di mine sottomarine che erano disinnescate. Un probabile attentato, il primo dei tanti misteri irrisolti della storia repubblicana.
Tra le tante pagine interessanti di questo saggio, che si conclude con il memorandum di Londra del 1954, il passaggio di Trieste all’Italia e l’esodo dalla zona B, non possiamo non citare quelle sui rapporti tra i partiti comunisti, dove emerge la subalternità del Pci rispetto al confratello sloveno.
La politica delle larghe intese inaugurata da Palmiro Togliatti con il riconoscimento del governo Badoglio non valeva sul confine orientale, dove vigeva l’antica logica del fronte contro fronte e della lotta al nemico nascosto anche nelle file antifasciste.