Domenica del Corriere 20 maggio1915 Italia entra in guerra
LETTERE al Corriere della Sera 6 febbraio 2024
Caro Aldo, se approfittassimo della morte di Vittorio Emanuele di Savoia, ultimo «testimone» di un’altra Italia, per chiudere definitivamente una pagina di storia? Nico Wet
In occasione del lutto della famiglia Savoia trovo penosa la ricostruzione della persona in termini negativi. Figura discussa, ma quasi sempre assolto. La cronaca non può essere un manganello addosso a una persona defunta. Franco Sarto
È morto Vittorio Emanuele di Savoia. La sua scomparsa non mi suscita altro sentimento, se non il rispetto che rivolgo a qualsiasi salma. Massimo Marnetto
Cari lettori, quando muore un personaggio pubblico, è un dovere morale non scrivere cose false e insincere. Ma lo è anche non accanirsi. Vittorio Emanuele non è stato all’altezza di una storia tragica. Esule fin da bambino, ha vissuto in un jet-set frivolo e superficiale, in un mondo di aristocratici decaduti e miliardari apolidi, che non l’ha aiutato a compiere l’unica missione che gli restava: difendere la storia della dinastia, riconoscere gli errori dei propri avi e nel contempo rivendicarne i meriti. Le rare volte in cui interveniva nel dibattito pubblico, si muoveva in modo improvvido e rancoroso, come chi ritiene di aver subìto un torto. (Imperdonabile, ad esempio, che abbia minimizzato la gravità delle leggi razziali). Così non ha creato neppure un’empatia umana con la parte dell’opinione pubblica che non gli era pregiudizialmente ostile, com’è invece riuscito a suo figlio Emanuele Filiberto.
I Savoia non hanno difensori. La sinistra non perdona loro di aver avallato il fascismo; la destra di aver fatto cadere e arrestare il Duce. È difficile in effetti negare le responsabilità di Vittorio Emanuele III nell’avvento di Mussolini — oggi peraltro molto rimpianto —, e anche la pessima gestione dell’armistizio. Prima del 1922, tuttavia, il re ebbe anche dei meriti: non era un reazionario come il padre, in politica il suo uomo fu sempre il liberale riformista Giovanni Giolitti, e dopo il disastro di Caporetto fece il suo dovere per salvare, certo non da solo, la nazione.
Se poi il discorso diventa storico, suo nonno Vittorio Emanuele II non era solo un cacciatore di stambecchi e di donne, com’è stato scritto; è il re che ha fatto l’Italia (certo pure lui non da solo). Piaccia o no, senza i Savoia l’Italia non esisterebbe. Questo non cancella né gli errori di Vittorio Emanuele III né la modestia di suo nipote, ma è così. So che molti italiani preferirebbero avere a Milano e a Venezia gli austriaci che impiccavano i patrioti, a Roma il Papa Re con i ghetti, le forche e il tribunale ecclesiastico, al Sud Franceschiello o magari direttamente fra Diavolo e Ninco Nanco. Però la storia è andata diversamente.
Ultimo dettaglio. Il 2 giugno 1946 quasi undici milioni di elettori, pari al 45,7%, votarono per la monarchia. Non per un istituto astratto; per i Savoia. Erano tutti conservatori e reazionari? Ma no, votarono monarchia Benedetto Croce, il più importante intellettuale italiano, e Luigi Einaudi, futuro presidente della Repubblica. A Roma e al Sud i Savoia stravinsero. Diciamo che i nostri nonni avevano della storia italiana un’idea diversa dalla nostra. Aldo Cazzullo