Caro Direttore, mi permetto di commentare l’articolo di Roberto Persico apparso su “Il Foglio Quotidiano” del 19 marzo 2022 e validamente ripubblicato sul Sito del Comitato Fiorentino per il Risorgimento, dissentendo energicamente con un suo punto basilare. La nota di Persico ha infatti sicuramente il pregio di mantenere l’attenzione sugli eventi che hanno insanguinato e irreparabilmente cancellato l’antico habitat culturale e civile dell’Istria italiana a seguito degli ultimi eventi bellici mondiali, ma presenta sottilmente una informazione che falsa completamente la conoscenza del problema. La nota in questione infatti esordisce affermando che Pola era al momento dell’esodo degli italiani avvenuto nel 1947 “una città fortezza nata nel 1856 come nuova sede della marina militare asburgica, passata in mezzo secolo da poco più di mille a oltre cinquantamila abitanti ecc”. Ebbene questa informazione data in questo modo, senza altre premesse storiche, avvalora quanto affermano anche altrove altre fonti falsificatorie interessate a legittimare culturalmente l’occupazione militare dei territori da parte jugoslava, anche di larga diffusione come ad esempio le pubblicazioni turistiche slovene e croate, laddove ad esempio spesso si legge che la Dalmazia e a volte anche la stessa Istria erano “colonie” italiane poi sottratte a tale regime con la resistenza partigiana e ritornate agli storici detentori della nazionalità territoriale. Niente di più falso e mistificatorio. Per quanto riguarda Pola in particolare, oggetto della nota di Persico, credo che nessuno possa onestamente negare che essa non è nata nel 1856 come fortezza austriaca, come egli scrive, né tantomeno era una colonia italiana come oggi dicono tanti testi divulgativi sloveni e croati, ma che essa era al contrario un centro abitato fondato già nella lontanissima età del bronzo, poi ristrutturato e rafforzato dagli antichi romani a seguito della loro conquista nel 177 a. C. con la nuova denominazione di Pietas Julia, di cui resta visibile ancora oggi il bellissimo anfiteatro circolare che ne è simbolo. La città diventò poi parte della Repubblica di Venezia nel 1148 ed era perfettamente conosciuta anche da Dante Alighieri che in un suo celebre passo della Divina Commedia la ricorda al limite orientale dell’Italia scrivendo: “Si come ad Arli, ove Rodano stagna, sì com’a Pola, presso del Carnaro, ch’talia chiude e suoi termini bagna”. Mi fermo qua, perché sono dati accessibili a tutti. Voglio solo qui sottolineare contro tutti i falsificatori o mistificatori più o meno interessati che l’Istria e la Dalmazia non sono nate come regioni austriache o tanto meno come “colonie” italiane, ma hanno avuto una lunghissima e ricchissima storia precedente, in cui la lingua e la cultura romana, veneziana e italiana sono fondamentali e innegabili.
Nella piazza di Settignano, a Firenze, è eretta una bella statua a ricordo di Niccolò Tommaseo, che vi è morto e poi sepolto nel piccolo cimitero locale. Tommaseo era nativo di Sebenico, in Dalmazia, di lingua e cultura italiana, grande linguista e studioso di glottologia, ed è colui che redasse l’omonimo grande Dizionario della Lingua Italiana prodotto illustre e assai famoso durante il Risorgimento italiano. Non era austriaco né un colono italiano. Era semplicemente originario storicamente di quei territori, come tutta la popolazione a cui apparteneva e che là aveva abitato fino agli eventi di cui l’articolo di Persico parla.
Marco Panti
L’Anfiteatro di Pola