Se esiste l’esigenza di alcuni partiti di collegarsi, a fini elettorali, ad un’opinione pubblica meridionale gravata da problemi antichi e nuovi, è loro dovere di onestà politica farlo identificando la natura dei problemi esistenti, verificando la realtà delle loro proposte, eventualmente le loro responsabilità, contribuendo anzi a un processo educativo che è sempre opportuno promuovere, al Nord, al Centro, al Sud e, visto che siamo cittadini europei, su una scala ancora più larga. La questione vale anche per altre situazioni, in un tempo che vede accendersi a oltre un secolo di distanza, dopo cioè un lunghissimo periodo di tempo in cui le società hanno metabolizzato conflitti atroci e divisioni terribili, la battaglia delle statue. È un brutto segnale perché se ne ricava che il giudizio storico non è considerato uno strumento di comprensione del presente ed eventualmente di virtuosa costruzione del futuro, ma che è impugnato selvaggiamente come una clava e, molto spesso, senza senso di responsabilità.
Appare questo il caso della recente iniziativa della Regione Puglia sulla cosiddetta giornata della memoria che, anche per la data scelta, appare più celebrativa della dinastia uscente dei Borbone che delle vittime meridionali, prime tra tutte quelle che la dinastia dei Borbone ha prodotto, ad esempio con il bombardamento di Messina e con le stragi di Napoli del 1848, o di quelle che possono essere state prodotte dagli avvenimenti risorgimentali che debbono alle popolazioni meridionali un grandissimo contributo all’unità nazionale. L’Unità italiana deve molto ai patrioti napoletani del 1799 e a quelli del Cilento del 1828, ai moti siciliani di fine ’47 e a quelli che, nel 1860, aprirono la strada al soccorso dei fratelli garibaldini e ad altri meridionali ancora. Deve molto al grande numero di esuli costretti a lasciare le loro case e le loro proprietà per il desiderio di un paese moderno e libero, una corrente di rifugiati cui non risulta corrisponderne un’altra in senso opposto di militanti in cerca di riparo politico presso la Corte borbonica.
Chi propone l’iniziativa pugliese postula cifre di vittime che quantifica per sentito dire, incerta tra 20.000 e 100.000, senza sentire il bisogno di un serio approfondimento con storici qualificati che, certamente nella sua terra non mancano. Appoggia il suo teorema su generiche affermazioni contro non meglio identificati diffamatori del Sud e dei meridionali, e promette una rivoluzione culturale, facendo riferimento ai molti libri e saggi che narrano di un Sud evoluto, scoprendo così l’acqua calda perché il Sud era terra di grandi intellettuali, molti dei quali costretti ad andarsene o in galera, come Luigi Settembrini e suo padre. Se poi voleva riferirsi all’economia reale, si tratta di altra cosa. Conclude poi con la stranezza di associare l’anniversario della nascita di Garibaldi allo splendido risultato che consisterebbe nel successo della sua mozione.
A noi pare che la mozione di cui sopra, in Puglia e ovunque venga riproposta metta alla prova le forze politiche che eventualmente l’appoggiano. Impone loro, prima di ogni altra cosa la verifica delle radici che rappresentano anche quando abbiano mutato il nome nel corso del tempo, perché gli alberi che non hanno radici sono destinati a cadere. Impone un dovere di serietà verso la storia che è molto più complessa di quanto la mozione pugliese faccia apparire e non è fatta a colpi di slogan, ma di documentazione e coscienza critica. Non esiste una storiografia ufficiale, mentre è doverosa una storiografia seria e onesta.
La storia è compito di chi la studia, ma non si esaurisce in se stessa perché ha bisogno anche di una riflessione onesta e sensata dei cittadini, di uno scambio civile. Questo racconta l’esperienza dei comitati e delle associazioni risorgimentali che si ritrovano nel Coordinamento nazionale, al Nord, al Centro e al Sud, e che si riconoscono nei valori di democrazia, libertà, giustizia sociale. Sono i valori affermati dal Risorgimento, sottratti all’Italia dal fascismo e recuperati dalla Resistenza nelle cui fila non poche unità si richiamavano a simboli e personaggi del Risorgimento. L’esperienza ventennale dei Comitati del Risorgimento ci dice che la sinergia di storici e cittadini è importante. Essa richiede non la spinta di interessi contingenti, e men che mai di interessi personali, economici, o elettorali ecc., ma la condivisione di un amore spassionato per quei valori intorno ai quali si trovano cittadini che hanno magari militanze diverse. Essi magari votano in contrapposizione, ma, come fu per i Costituenti del 1946-47, sanno che un paese ha avvenire se poggia su un terreno fecondo di valori e che l’Unità d’Italia nel quadro di una grande e democratica evoluzione europea ne è la base fondamentale. Le prese di posizione di importanti società storiche italiane, la Giunta Centrale per gli Studi storici; la Società Italiana degli Storici Contemporanei; la Società Italiana per la Storia dell’Età Moderna; la Società Italiana di Storia Internazionale; la Società Italiana delle Storiche; la Società Italiana degli Storici Medievisti; la Consulta Universitaria per la Storia Greca e Romana, ci confortano in una sensibilità che riconduce la storia al suo dovere civile e, nello stesso tempo, ci spinge a sollecitare gli storici ad approfondire il rapporto con i cittadini come avviene nei nostri organismi associati.
Per il Coordinamento Nazionale Associazioni Risorgimentali
Il Presidente
Fabio Bertini