Il Ponte della Maestà a Portico di Romagna
Storie perse (e ritrovate) nella antica provincia minore della Romagna fiorentina
Pier Luigi Farolfi, cultore di storia originario di Portico di Romagna, ha scritto numerosi libri e saggi nei quali ricostruisce vicende che hanno coinvolto la Romagna toscana e il suo popolo. Le sue ricerche si svolgono in prevalenza presso gli Archivi di Stato della Toscana e della Romagna. Il suo ultimo libro è il risultato di una minuziosa ricerca presso l’Archivio di Stato di Firenze. Una ricerca, condotta con un approccio di carattere storico-documentario, sul tema dei ponti nella Romagna toscana nel Seicento e nel Settecento.
Lo studio di Farolfi è importante perché, in una viabilità fortemente modellata sull’andamento dei torrenti, il ponte era una struttura di base primaria per garantire i flussi commerciali e le comunicazioni tra diversi territori. E poteva essere allo stesso tempo una barriera per riscuotere pedaggi ed esercitare controlli. Il ponte era, in definitiva, una sorta di ‘collo di bottiglia’ in cui venivano a convergere le direttrici della viabilità, non solo nel passaggio dalla montagna alla pianura, ma anche tra una valle e l’altra.
Nell’introduzione l’autore scrive che “l’idea iniziale era quella di scartabellare fra le tante filze per cercare di scoprire, una volta per tutte, quale fosse la vera data di costruzione dei ponti della Maestà e della Brusia nel Comune di Portico e San Benedetto”. La ricerca, continua Farolfi, aveva poi preso un respiro più ampio facendo emergere i tempi e i modi con i quali il granducato aveva gradualmente sostituito gli insicuri e fragili ponti di legno, incapaci di resistere alle frequenti rovinose fiumane. A questo proposito l’autore cita quanto successo nel marzo del 1737 a Tredozio: quattro persone, nel passare su di un pericolante ponte di legno sul torrente Tramazzo per recarsi alla messa nella chiesa di San Michele, erano cadute in acqua e non erano affogate solo per il tempestivo soccorso di alcuni compaesani. I nuovi ponti di pietra erano più costosi da costruire, ma più solidi e con spese di manutenzione molto minori. Essendo più sicuri, erano più graditi alle popolazioni delle comunità interessate. La loro realizzazione, accuratamente documentata dall’autore, coinvolse gonfalonieri e delegati comunali, oltre alle figure centrali per la costruzione e la manutenzione delle strade e dei ponti: ingegneri, agenti di strade e capimaestri.
Nei venti capitoli del volume, Farolfi racconta le fasi salienti della realizzazione di molti dei nuovi ponti di pietra, da quello della Maestà di Portico a quelli di Bocconi, di Dovadola, di Premilcuore, di Tredozio, di Castrocaro, di Santa Sofia, di San Piero in Bagno e anche vicende relative a ponti di Rocca San Casciano, Santa Sofia e Modigliana. Nel capitolo intitolato La linea Gotica, l’autore ricorda le distruzioni messe in atto nel 1944 dai tedeschi in ritirata dall’Appennino per ritardare l’avanzata dell’esercito alleato: anche alcuni degli antichi ponti di pietra furono minati dai genieri tedeschi.
Farolfi era sicuramente consapevole che con la sua ricerca, condotta su fonti primarie, ovvero su documenti contemporanei agli eventi presi in esame, si sarebbe imbattuto nelle memorie collettive locali di ponti definiti ora “sicuramente medievali”, ora di altro periodo, spesso riconosciuti come tali soltanto sulla base di attribuzioni acritiche vicine al sentimento collettivo e alla creazione del mito comune. In realtà, riuscendo a fondare la storia dei ponti della Romagna toscana su basi scientifiche anche in vista di ulteriori approfondimenti, l’autore ha contribuito a rafforzare il senso d’identità delle comunità interessate.
Massimo Ragazzini
Annali Romagna ed Emilia, supplemento della rivista Libro Aperto
Autore Piero Farolfi
Editore Piero Farolfi
Anno 2023
Pag. 198
Prezzo € 15