È il 3 settembre del 1827 quando Vieusseux organizza un ricevimento per lo scrittore venuto a «ripulire» i panni in Arno. Quella sera chi c’era assisterà al suo storico incontro con Leopardi.
Il 3 settembre 1827 è un lunedì. Alessandro Manzoni è a Firenze per risciacquare in Arno i suoi «lenzuoli», cioè i Promessi sposi appena pubblicati a Milano, in tre tomi, nel giugno di questo stesso 1827 (la cosiddetta Ventisettana). «Risciacquare» vuol dire che intende ripulire l’assetto linguistico del romanzo, cioè sostituire il toscano dell’uso, impiegato alla meglio nella prima edizione, con il fiorentino parlato dalle persone colte, messo a punto nella seconda e definitiva edizione del 1840 (la Quarantana).
Il padre dei Promessi sposi arriva a Firenze mercoledì 29 agosto 1827. Viene con la madre, la moglie, la «nidiata» (come dice lui) di sei degli otto figli, più quattro domestici (tredici persone, in due carrozze). In città si trattiene fino al 1° ottobre. Alloggia alla Locanda delle Quattro Nazioni, nell’attuale Lungarno Corsini n. 4, nell’edificio attiguo a Palazzo Gianfigliazzi, dove ha abitato ed è deceduto nell’ottobre 1803 Vittorio Alfieri.
Giovan Pietro Vieusseux, figura eminente a Firenze, direttore dell’Antologia (la più importante rivista italiana dopo la soppressione a Milano del Conciliatore nel 1819) e del Gabinetto Scientifico-Letterario a Palazzo Buondelmonti in Piazza Santa Trinita, pensa di rendere omaggio all’ospite illustre come autore degli Inni sacri e delle due tragedie, Il Conte di Carmagnola e Adelchi. Così organizza un ricevimento ufficiale, al secondo piano del Palazzo Buondelmonti, per la sera di lunedì 3 settembre, dalle ore 19 alle 21. È un’occasione di cortese mondanità, abituale nella prassi del padrone di casa, autentico gentiluomo, intellettuale, affabile conversatore, sagacissimo tessitore e organizzatore di cultura. Sono presenti, con Vieusseux, alcuni selezionati personaggi letterari, come Giovanni Battista Niccolini, Terenzio Mamiani, Mario Pieri, Gaetano Cioni, Pietro Giordani (esule in Toscana dal 1824). Ma a rendere eccezionale la serata è il fatto che tra i presenti si trova Giacomo Leopardi. Manzoni ha 42 anni, Leopardi 29. Manzoni è un’autorità, Leopardi uno scrittore noto ma non celebre, non nell’opinione corrente.
Cronista della serata è Mario Pieri (classicista, originario di Corfù, divenuto fiorentino dal 1823), che nel suo diario annota particolari curiosi. Riferisce che Giordani, ateo e materialista, letterato di gran nome, temibile per la sua lingua acuminata, si accosta a Manzoni, appena entrato in sala mentre è da tutti ossequiato, e gli domanda rischiando un incidente diplomatico: «È vero che credete ai miracoli?». In risposta riceve, dal saggio conte milanese, non una replica dura, che sarebbe stata fuori luogo, ma una pacata e riflessiva battuta quasi monologante: «Eh! È una gran questione». A parte i dettagli curiosi due cose importano. La prima è il merito che spetta a Vieusseux per essere riuscito a fare incontrare i due nostri massimi campioni moderni. La seconda cosa è il valore emblematico che va riconosciuto all’incontro che avviene, per accrescerne il rilievo simbolico, una settimana prima di quel lunedì 10 settembre 1827, che è il giorno in cui chiude, fuori d’Italia, i suoi giorni, irato agli altri e a se stesso, nel malinconico sobborgo londinese di Turnham Green, Ugo Foscolo, il poeta che a Firenze, sulla collina di Bellosguardo, un quindicennio prima, nell’agosto 1812 – luglio 1813, ha placato il suo affanno di esule, fuggitivo, con la stupendamente serena stagione delle Grazie, mitico riscatto dalle amare disillusioni della storia. Manzoni e Leopardi sono autori antitetici e s’incontrano a Firenze, città dove può accadere l’impossibile. Manzoni ha pubblicato nel giugno 1827 a Milano il suo romanzo e Leopardi nello stesso giugno, sempre a Milano, ha pubblicato le sue Operette morali. Due libri tra loro quanto mai distanti. Un romanzo nella lingua dell’uso e una raccolta di dialoghi filosofico-fantastici nella più selettiva lingua letteraria. Il romantico Manzoni per arrivare al capolavoro si è «sliricato» (ha abbandonato la centralità dell’io). Il classicista Leopardi resta indubitabilmente un sommo lirico. Manzoni contesta la mitologia e proclama il «vero» come bello; Leopardi difende la mitologia come fonte di poesia, su posizioni duramente antiromantiche, e identifica il bello con il «finto» (opposto al «vero» manzoniano) e identifica il bello con l’illusione, con l’immaginazione: «e sovrumani / silenzi, e profondissima quiete / io nel pensier mi fingo (L’infinito, vv. 5-7).
Carlo Emilio Gadda
Antitetici, eppure compagni di strada. Ce lo ricorda Carlo Emilio Gadda. Quest’anno ricorre il 150° anniversario della morte di Manzoni e, insieme, ricorre il 50° della morte di Gadda, altro straordinario narratore che ha scelto Firenze come elettiva patria linguistica. Proprio Gadda ha sottolineato i tratti che uniscono Manzoni e Leopardi e lo ha fatto a Firenze, la città del loro incontro sulla rivista Solaria, condiretta da Alessandro Bonsanti, che è stato dal 1941 al 1980 grande e indimenticato direttore dello stesso Gabinetto Vieusseux.
Su Solaria, nel saggio Apologia manzoniana del gennaio 1927, nel centenario della Ventisettana, così Gadda si è espresso: «] Manzoni] volle che il suo dire fosse quello che veramente ognun dice, […] e non la roca trombazza d’un idioma impossibile. […] Volle romperla una buona volta con certi toni della vacua magniloquenza. […] Volle parlare da uomo agli uomini, come, a lor modo, parlarono tutti quelli che ebbero qualche cosa di non cretino da raccontare. Ebbe compagno nell’impresa della spazzatura un altro conte suo contemporaneo […]. La parola di quest’ultimo ha una nitidezza lunare: Dolce e chiara è la notte». Gadda unisce Manzoni e Leopardi, i due grandi che nel capoluogo toscano si sono avvicinati per l’unica volta nella loro vita. E li unisce nell’impresa della «spazzatura», ovvero nella ricerca fondamentale di un linguaggio antiretorico e antieloquente, anticonformista e antiservile.
Gino Tellini, Critico letterario e italianista
Corriere Fiorentino 2 settembre 2023
Palazzo Buondelmonti. Sede del Gabinetto Vieusseux nel 1827