Gerolamo Induno La battaglia della Cernaia 1857
LETTERE al Corriere della Sera 27 febbraio 2022
Caro Aldo, ma insomma cosa dovremmo fare noi italiani? Mettere l’elmetto e andare a combattere per l’Ucraina? Marta Sensi, Milano
Cara Marta, Ci fu un tempo in cui gli italiani erano disposti a combattere per una terra che ora si chiama Ucraina, o meglio per la penisola ora rivendicata e occupata dalla Russia: la Crimea. Era il 1853. Da due generazioni l’Europa era in pace. Ci si limitava a conquistare territori altrui. La Francia aveva preso l’Algeria. Le armate dello zar scendevano verso i mari caldi. Per fermarle, francesi e inglesi intervennero a sostegno del declinante impero turco. Cavour pensò che sarebbe scoppiata una guerra europea, con l’Austria a sostegno della Russia, e offrì le sue truppe, per portare il piccolo Piemonte al tavolo delle grandi potenze (il primo calcolo era sbagliato, il secondo giusto). Restava da capire chi sarebbe partito per la Crimea. «Ci sono i miei bersaglieri» disse Alfonso La Marmora. Cavour e il re mandarono 15 mila uomini; considerati i mezzi e la popolazione dell’epoca, sarebbe come se oggi Draghi e Mattarella mandassero mezzo milione di soldati dall’altra parte del mondo, non so, in Tasmania. Schierati sul fiume Cernaia, i bersaglieri ressero accanto ai francesi l’urto di 57 mila russi, cogliendo una clamorosa vittoria: lo zar perse quasi diecimila uomini in un giorno. Il resto della spedizione fu meno glorioso: la maggioranza dei caduti furono i morti di colera, e i soldati si distrassero (in dialetto piemontese l’organo sessuale femminile si chiama indifferentemente «neira» o «ciorgna», che significa appunto nera in russo). Resta il fatto che i soldati del Regno di Sardegna erano pronti a combattere e a morire per una terra che oggi chiamiamo Ucraina, e soprattutto per dare agli italiani una patria. Proprio come i volontari toscani disfatti a Curtatone e Montanara, gli insorti milanesi delle Cinque Giornate e quelli (dimenticatissimi) del 1853, i veneziani che difesero la loro Repubblica sino a quando infuriò il morbo e mancò il pane, i martiri calabresi di Gerace, i messinesi che per primi insorsero nel 1848, eroici soldati napoletani come il generale Guglielmo Pepe che fu ferito nella difesa di Venezia. Ma se oggi si gira un film su quegli anni, lo si fa dalla parte di Ninco Nanco, Coppolone e i briganti. Aldo Cazzullo
Alfonso La Marmora