LETTERE al Corriere della Sera 2 aprile 2021
Caro Aldo, il settecentesimo anniversario della morte di Dante Alighieri ha portato in auge molteplici aspetti della sua opera. Tra essi è emerso il carattere che considera la Divina Commedia come un libro sacro del popolo italiano e anticipa la nazione italiana come entità spirituale. Lo sottolineava lei nella risposta a un lettore e lo ribadiva Giuseppe Mazzini nel saggio «Dell’amor patrio di Dante» (1837), in cui lo elevò a precursore della nazione italiana, quasi a conferma delle sue posizioni politiche. Il poeta fiorentino è indicato come un profeta, che denuncia vizi e corruzione dei suoi compatrioti per spronarli a un sincero patriottismo basato su un’equa giustizia sociale e un’azione politica più efficace. Nunzio Dell’Erba
Caro Nunzio, oggi è il Venerdì Santo, il giorno in cui Dante inizia il suo viaggio nell’Aldilà. Sul tema della visione dantesca dell’Italia, e più ancora dell’uso politico che di Dante hanno fatto generazioni di scrittori e di patrioti, è uscito un saggio molto interessante, «Il Sommo italiano. Dante e l’identità della nazione», pubblicato da Carocci e scritto da Fulvio Conti, il preside della Scuola di Scienze politiche a Firenze. Vi si cita tra l’altro il testo cui lei, gentile professor Dell’Erba, fa riferimento. A ventidue anni, Giuseppe Mazzini scrisse un articolo di fuoco, intitolato «Dell’amor patrio di Dante» e rimasto a lungo inedito: «In tutti i suoi scritti traluce sempre sotto forme diverse l’amore immenso ch’ei portava alla patria… Egli mirò a congiungere in un sol corpo l’Italia piena di divisioni, e sottrarla al servaggio». Poi l’invocazione: «O Italiani! Studiate Dante… non vi fidate ai grammatici e agli interpreti essi sono come la gente che dissecca cadaveri; voi vedete le ossa, i muscoli, le vene che formavano il corpo; ma dov’è la scintilla che l’animò?». Per Mazzini, la Divina Commedia andava letta e interpretata di persona da ogni patriota, come la Bibbia secondo Lutero: «O Italiani! Non obliate giammai che il primo passo a produrre uomini grandi sta nello onorare i già spenti». Ovviamente, l’idea che Dante aveva dell’Italia non era la stessa di Mazzini e del nostro Risorgimento. Silvio Pellico scrive una tragedia, «Francesca da Rimini». Ma è bello rileggere oggi quel che annotava Carducci: «Ahi serva Italia! Cotesto emistichio faceva rizzare i capelli ai nostri padri, e le mani cercavano la carabina e incontravano le catene dei tiranni. Grazie all’Alfieri, al Foscolo, al Mazzini». Aldo Cazzullo
Luigi Norfini – Silvio Pellico 1861