Lettere a Sergio Romano
Corriere della Sera 1 marzo
QUANDO SI PARLA DEL PASSATO GUARDANDO AL PRESENTE
In occasione del centenario della Prima guerra mondiale ho letto dei libri. Mi sono sentita veramente male, rivivendo le terribili condizioni dei nostri soldati per mesi in trincea, mal nutriti, senza adeguato equipaggiamento, nel fango e col gelo pungente. Ma mi ha fatto ancor più male leggere come spesso, tra gli alti gradi, ci fosse un disinteresse assoluto per le vite di questi poveri nostri fratelli, che venivano mandati avanti in azioni suicide, senza la minima possibilità di riuscita, nonostante la cosa venisse segnalata per tempo. A centinaia, a migliaia venivano mandati al macello, senza che la Patria ne ricevesse il minimo giovamento. Le chiedo: perché ci sono tante strade e piazze dedicate a Cadorna, che di tanto macello fu il principale, insensibile responsabile?
Mariapia Omati Cavaliere
Signora Omati Cavaliere, la storia della Grande guerra riflette le opinioni correnti e i pregiudizi ideologici dell’epoca in cui è scritta. Terminato il conflitto con la vittoria degli Alleati alla fine del 1918, la storiografia fu influenzata dall’orgoglio patriottico della grande maggioranza degli italiani. Vi fu una parte della sinistra massimalista che esprimeva i suoi sentimenti insultando nelle strade gli ufficiali che ancora indossavano l’uniforme. Ma quegli episodi ebbero l’effetto di regalare voti e consenso al partito nazionalista e al movimento fascista. La storiografia si adeguò e produsse manuali scolastici in cui le ombre del conflitto e le sue pagine peggiori venivano ignorate o fortemente sfumate. La caduta del fascismo e la guerra perduta hanno prodotto una storiografia opposta. Mentre quella del Ventennio aveva magnificato la vittoria, quella del secondo dopoguerra andava alla ricerca, con un certo compiacimento, di tutto ciò che avrebbe trasformato il conflitto, agli occhi dei lettori, in una lotta di classe sul campo di battaglia. Qualche studioso cercò di provare che lo stile della guerra italiana, almeno sino alla fine del 1917, non fu diverso da quello delle maggiori potenze, che i comandanti alleati non avevano una mentalità diversa da quella di Cadorna. Altri ricordarono gli ammutinamenti nell’esercito francese durante le battaglie della primavera del 1917 e i 23 leader di movimenti socialisti e pacifisti giustiziati in Francia negli stessi mesi. Ma nelle scuole, soprattutto dopo il ’68, il patriottismo non era alla moda e il distacco storiografico non era considerato una indispensabile virtù dello storico. Cadorna, in questo quadro, finì per essere considerato il più retrivo e spietato dei comandanti militari. La sentenza era troppo sommaria e il giudizio sul comandante supremo è oggi un po’ più equanime. Gli vengono riconosciute tra l’altro, notevoli qualità organizzative e qualcuno si è spinto sino a pensare che il suo giudizio su Caporetto come sciopero militare non fosse interamente privo di fondamento. Quanto alle vie e alle piazze che portano il suo nome, continuo a pensare che ogni importante cambiamento ne solleciterebbe altri e che una battaglia delle targhe è l’ultima cosa di cui l’Italia abbia bisogno in questo momento. La revisione della toponomastica farebbe molte vittime e molti malumori, ma soprattutto complicherebbe la vita di chi dovrebbe cambiare indirizzo su tutti i suoi documenti.
Sergio Romano