Giovanni Papini foto di Mario Nunes Vais
Anticonformisti, artefici di un libero pensiero senza limiti: 120 anni fa con «Il Leonardo» di Papini e Prezzolini iniziava una stagione che fece di Firenze crocevia di cultura fuori dagli schemi
Mario Bernardi Guardi Corriere Fiorentino 31 gennaio 2023
Gran fioritura di effervescenze multicolori quella del Primo Novecento Fiorentino. Dal 1903 fino alla Grande Guerra sono anni di insonne creatività, con un pugno di ragazzi che, tra manifesti, proclami, sfide, scoperte, provocazioni, danno l’assalto al cielo, rivoluzionano la cultura, chiamandola vigorosamente a tutti gli appuntamenti con l’attualità e con la storia. E si tratta davvero di ragazzi perché quando il 4 gennaio del 1903, partono gli squilli di battaglia con l’uscita del primo numero di Leonardo, i promotori dell’impresa, Giovanni Papini e Giuseppe Prezzolini, hanno 22 e 21 anni. I due, che assumono gli pseudonimi rispettivamente di Gian Falco e di Giuliano il Sofista, si dichiarano pagani, individualisti, vogliosi di universalità, «nemici di ogni forma di pecorismo nazareno e di servitù plebea», alfieri della bellezza e di un libero pensiero inteso a varcare ogni limite. La rivista esce in fascicoli di otto pagine, con scadenza irregolare, si fregia delle incisioni del dannunziano Adolfo De Carolis, ha tra i collaboratori altri giovani dal multiforme ingegno come il palermitano «intoscanito» Giovanni Antonio Borgese, e Ardengo Soffici di Poggio a Caiano.
Soffici fa il bohémien a Parigi dove frequenta tutta l’avanguardia artistica, con Apollinaire, Max Jacob e Pablo Picasso e invia articoli con lo pseudonimo di Saint Cloud. Per cinque anni il Leonardo è tutto un ribollire di spiriti antipositivisti, di appelli contro il passatismo e le accademie: i contrassegni sono D’Annunzio e Nietzsche. Ma nel 1907 la tensione si allenta e la rivista chiude i battenti. Perché? Perché, spiegano Gian Falco e Giuliano il Sofista, non ce l’abbiamo fatta a «scoprire uomini, svegliare e trasformare anime, trovare giovini che fossero per noi compagni e schermidori e non pappagalli male ammaestrati».
La diana dell’italica riscossa contro la minaccia della sovversione socialista e la viltà della borghesia liberale, la fa risuonare un altro intellettuale fiorentino, Enrico Corradini — 38 anni — che, il 29 novembre 1903, fa uscire il primo numero de Il Regno. Tra i collaboratori i leonardiani Papini e Prezzolini che tuonano contro il parlamentarismo e la politica giolittiana. Anche qui si respira un’aura dannunziana: l’avvenire nell’Italia è sul mare. Solo che, contrariamente al francofilo Vate, Corradini è a favore della Triplice Alleanza e vede nei cugini d’Oltralpe gli insidiatori del nostro espansionismo nel Mediterraneo. E se Il Regno chiude nel 1906, lui procede spedito e nel 1910, è tra i fondatori dell’Associazione Nazionalista Italiana.
Ma se è bello e giusto far politica, nel santo nome dei destini d’Italia, i giovani fiorentini non scordano certo la letteratura. La esaltano — pura, raffinata, aristocratica— i nazionalisti Corradini e Papini, firmando articoli per Hermes, fondata da Borgese nel gennaio 1904 (durerà fino al luglio 1906), col proposito di guerreggiare contro razionalisti, materialisti e positivisti, in nome di un appassionato idealismo e delle forme più alte del sapere. Tutta un figliar di idee, manifesti, programmi, questa Firenze primonovecentesca.
Troppi propositi, però, rischiano di diventare spropositi. Se ne accorge Prezzolini che il 20 dicembre 1908 fonda La Voce. E parla subito chiaro. Non abbiamo bisogno di geni ma di persone di carattere. In Italia non manca il cervello, «ma si pecca perché lo si adopera per fini frivoli e bassi». Piuttosto che inneggiare alla rivoluzione, parliamo di riforme, di educazione, di miglioramenti nelle istituzioni, nella società, nella scuola, diamo spazio al dibattito, alle energie nuove che vengono fuori nella cultura e nella politica, al giudizio contro il pregiudizio. A crederci è il fior fiore della cultura: saranno «vociani» Papini, Soffici, Slataper, Murri, Amendola, Salvemini, Serra… E anche Mussolini, allora agitatore socialista, che, nel 1909, segretario della camera del Lavoro di Trento, si darà un gran daffare per diffondere la rivista e che, per i Quaderni della Voce, pubblicherà Il Trentino visto da un socialista.
Tante le polemiche di marca vociana, tante le scoperte e l’impegno di promozione culturale. Un occhio speciale per le avanguardie poetiche e artistiche con gli articoli di Soffici su Courbet, Picasso, Braque ecc., la pubblicazione di un «Quaderno» dedicato a Rimbaud, l’allestimento nel ’12 della prima mostra italiana sull’Impressionismo con opere di Cezanne, Degas, Renoir, Monet, Pizarro, Gauguin, Van Gogh, e 17 sculture di Medardo Rosso. E tante le stagioni vociane, irrorate di litigi, polemiche, distinguo, fino alla chiusura, nel ’16.
Il fatto è che Prezzolini ci tiene ormai ad essere un educatore, dallo sguardo alto e profondo; i suoi numi tutelari sono ormai Croce e Gentile, col contrassegno dell’idealismo militante, mentre Papini e Soffici non hanno smarrito la vocazione eretica e ribellistica. Tanto che il primo gennaio del ’13 hanno battezzato Lacerba, un foglio quindicinale nemico del buon senso, del moralismo, del riformismo, e programmaticamente «urtante e spiacevole». E fieramente avanguardista, con una memorabile copertina disegnata da Picasso. E visto che quattro anni prima è stato lanciato il Manifesto Futurista di Filippo Tommaso Marinetti, loro lo reinventano, lo estremizzano, spernacchiano religione, borghesia, democrazia e pubblicano il Programma Politico Futurista che è un «al di là della destra e della sinistra» portato al massimo, «vanno in guerra» prima che la guerra scoppi. Il 22 maggio del ’16 esce l’ultimo numero. E via, tutti al fronte. Poi ognuno continuerà a suo modo a scriver la storia dell’intelligenza fiorentina: quindici anni di giovinezza, mai vissuta così bene.