Firenze 27 aprile 1898 Inaugurazione del monumento a Ubaldino Peruzzi in Piazza Indipendenza
Fulvio Conti Corriere Fiorentino 30 dicembre 2020
La storia non si ripete e purtroppo non insegna, come qualcuno si ostina a credere. Tutt’al più, di tanto in tanto, offre curiose somiglianze fra presente e passato. È il caso della «città della conoscenza», il progetto presentato dal sindaco Nardella come asse portante del suo secondo mandato che adesso, sollecitato dall’emergenza epidemica, sta prendendo forma. L’idea cioè che la ripresa economica debba passare attraverso una significativa diversificazione delle attività produttive e che un ruolo determinante debba essere svolto dall’investimento in formazione e ricerca scientifica. Nell’intervista rilasciata domenica a questo giornale Nardella prospetta il recupero di aree dismesse sia in centro che in periferia per allestirvi nuove scuole di eccellenza, come quelle per enologia e turismo, per creare nuovi poli per università e start up, per favorire il rilancio dell’artigianato anche mediante risorse digitali. Ebbene, giusto 150 anni fa, nel dicembre 1870 un illustre predecessore di Nardella, Ubaldino Peruzzi, nel momento in cui si accingeva per la seconda volta ad assumere la carica di sindaco presentò in consiglio comunale un ambizioso progetto per risollevare le sorti della città, costretta all’improvviso a rinunciare al rango di capitale d’Italia e a tutto ciò che esso comportava: migliaia di funzionari e impiegati che si trasferivano a Roma, case che restavano sfitte, alberghi e ristoranti che si svuotavano, negozi che perdevano clienti.
Con l’aggravante di dover fronteggiare la voragine che si era aperta nel bilancio comunale per finanziare i grandiosi interventi urbanistici avviati durante il periodo della capitale. Peruzzi aveva le idee chiare: «Firenze per più ragioni non può aspirare a ridivenire città industriale», ma può sperare «di trar profitto dalle sue tradizioni nella lingua e nelle arti, e dalla sua posizione centrale, sol che sia qui particolarmente favorito lo svolgimento della pubblica educazione, cui è raccomandato l’avvenire della Nazione, e più particolarmente quello della nostra città». Si trattava perciò di investire nella costruzione di scuole e istituti di formazione, promuovendo in particolare «un efficace ordinamento degli studi del disegnare e del modellare», indispensabili per garantire la qualità degli artisti e degli artigiani che costituivano il nerbo dell’economia cittadina. E poi l’Istituto di studi superiori, embrione della futura Università. Per il Comune, affermava Peruzzi, era venuto «il momento di occuparsene seriamente e d’invocare i provvedimenti che valgano ad assicurarne l’esistenza». Una rinomata Università, ragionava il sindaco, avrebbe contribuito a «innalzare il livello della cultura in Italia», ma anche ad «attirare a Firenze un eletto stuolo di insegnanti e di studenti». Riempiendo un po’ di quelle case e di quegli alberghi lasciati vuoti da politici e burocrati in procinto di trasferirsi a Roma. Peruzzi di fatto rilanciava un’immagine, quella di Firenze come «Atene d’Italia», che circolava già dal Settecento e individuava la missione della città nel suo essere ad un tempo luogo di alta formazione culturale e scientifica ed erede non passiva della grande tradizione artistica dei secoli passati, rinverdita dalla maestria dei suoi artigiani, debitamente formati non solo nelle botteghe ma in una moderna rete di istituti professionali. Non sono pochi i fili che collegano la «città della conoscenza» di Nardella all’«Atene d’Italia» di Peruzzi, la cui statua troneggia in piazza dell’Indipendenza dirimpetto a quella di Ricasoli.
Chissà se il sindaco vi avrà pensato quando alla vigilia di Natale ha festeggiato la fine del primo lotto di lavori di riqualificazione della piazza, posando per i fotografi proprio sotto il monumento al suo predecessore.