Antonio Carioti Corriere della Sera 17 Dicembre
Se Vittorio Emanuele III avesse firmato il decreto di stato d’assedio proposto dal primo ministro Luigi Facta, nell’ottobre del 1922, la marcia su Roma sarebbe quasi certamente fallita, quindi l’Italia avrebbe evitato il regime fascista e magari sarebbe ancora una monarchia.
Ma la storia non si fa con i se.
E quel sovrano, al di là del rispetto che si deve alle spoglie dei defunti, resta una figura su cui il giudizio storico non può che essere negativo. Forse il re sperava che affidando il governo a Benito Mussolini ne avrebbe placato l’oltranzismo. O temeva che l’esercito non avrebbe accettato di contrapporsi alle camicie nere. Di certo Vittorio Emanuele III si dimostrò inadeguato alle sue alte responsabilità. Da allora il suo regno fu un susseguirsi di cedimenti e complicità. Cedimenti alle pretese del fascismo, che si arrogò di interloquire anche sulla successione al trono. Complicità con le mosse di Mussolini per trasformare l’Italia in uno Stato totalitario. Anche quando il delitto Matteotti mise in luce la vocazione violenta dei fascisti, il re rimase inerte. Poi avvallò le leggi liberticide, le leggi razziali, le guerre di aggressione. Solo l’imminenza della disfatta nel secondo conflitto mondiale indusse il monarca a dissociarsi dal regime. Ma l’armistizio con gli Alleati sfociò nel disastro dell’8 settembre.La stessa abdicazione di Vittorio Emanuel II, dopo il compromesso della luogotenenza, giunse tardi, alla vigilia del referendum che avrebbe bocciato la monarchia.
Che oggi la salma del re torni in Italia non può turbare nessuno. Però le sue colpe ( condivise con molti altri, ma comunque pesantissime) rimangono incaccellabili.