Gli oggetti della storia. Fazzoletti, soprammobili, statuette, calamai e tabacchiere hanno contribuito a evocare fatti, diffondere idee e celebrare personalità. Ma anche a rendere le narrazioni meno retoriche
Oggetti risorgimentali.
Una storia materiale della politica nel primo Ottocento
Autore Enrico Francia
Editore Carrocci
Pag. 180, € 20,00
Partiamo dalla fine. I musei di storia patria presentano, accanto ai ritratti, alle bandiere, alle armi, degli oggetti inconsueti: fazzoletti, nastri, tabacchiere, spille, portagioie, medaglie, piccoli busti. Da Napoleone Bonaparte a Pio IX, da Garibaldi a Vittorio Emanuele, è come se le personalità della vicenda risorgimentale fossero state miniaturizzate in tempo reale, rese portabili, trasferite in ambiti personali e domestici. Un tempo si riservava a questa produzione uno sguardo distratto: roba da collezionisti maniacali. Più recentemente, anche in Italia è andato aggiornandosi lo sguardo sulle manifestazioni pubbliche e sugli atteggiamenti sentimentali che accompagnarono la stagione risorgimentale.
Enrico Francia, da tempo attivo su questi temi all’Università di Padova con Carlotta Sorba, cui si devono testi fondamentali sul melodramma e cultura nazionale, in Oggetti risorgimentali affronta attraverso alcuni sondaggi la «storia materiale della politica nel primo Ottocento». E spiega: bisogna far parlare le cose, a partire da tre aspetti: la propaganda, la performatività e la commercializzazione (p. 15).
Compito arduo, perché le informazioni sono sparse in una miriade di fonti d’archivio, a stampa, iconografiche. Si parte da Napoleone, il culto del grand’uomo nasce con lui, diventa sovversivo dopo il 1815 per poi sfumare nel gusto nostalgico per un protagonista ormai “passato alla storia”. Diverso è il caso di Pio IX, l’unica personalità della stagione dell’indipendenza ad essere subito celebrata, dalle Alpi alla Sicilia. Una serie di ingegnosi artisti ed artigiani avrebbe fatto fortuna, fra il 1846 e il 1848, producendo fazzoletti di seta o di cotone stampati, busti, litografie evocanti il pontefice “liberale”, salutato illusoriamente come il garante della nazionalità attraverso una pacifica confederazione. E però, nello stesso tempo, ricorda Francia sulla scorta di Sorba, ecco apparire i “cappelli all’Ernani” (letterari e melodrammatici, da Hugo a Verdi), a larghe falde e con la piuma di struzzo, da esibire in pubblico per sottolineare, anche attraverso l’abbigliamento, una scelta militante più radicale. È bene aggiungere che non sono molti i pezzi di cui abbiamo testimonianza, sopravvissuti «a una severa politica iconoclastica dopo il Quarantotto, che ne ha in molti casi determinato la totale scomparsa materiale e quindi anche la possibilità di conservazione» (p. 59). All’epoca, però, la diffusione fu virale. E ne spiegava la ragione già nel 1847 un patriota e intellettuale toscano, Giuseppe Montanelli: occorrevano “simboli” e “forme” nelle quali «quel sentimento che dovevano provare tutti i cuori s’esprimesse con linguaggio di fatto». Se non si avevano denari per abiti appropriati, ci si poteva sempre far crescere la barba. Benché, infatti, i baffi fossero tollerati ovunque, la barba divenne un segno distintivo di disordine politico e morale, spostando il confine del radicalismo sul crinale della criminalità. Questo almeno era l’obiettivo della propaganda reazionaria, che alimentò provvedimenti paranoici soprattutto nel Regno delle Due Sicilie: barbuti sospetti furono puntualmente segnalati al governo dalle autorità locali. Inquisizione faticosa: di volti glabri, per le più varie ragioni, all’epoca se ne incontravano davvero pochi.
Political Objects in the Age of Revolutions
Autori Enrico Francia, Carlotta Sorba
Editore Viella
pag. 229, € 38
Con Political Objects, curato da Enrico Francia e Carlotta Sorba, il quadro si allarga: la scena, pur restando principalmente risorgimentale, scorre dai ricordi portatili della presa della Bastiglia alla nostalgia napoleonica; dai berretti e nastri colorati nella Spagna dello scontro fra liberali e legittimisti nel secolo XIX alla Visual Culture dei piccoli prodotti commercializzati dai figurinai; dagli oggetti recuperati all’indomani della Repubblica Romana del ’49 alle prime politiche della memoria: i resti dei martiri. Il percorso interessa ancora la sfera degli oggetti, solo che essi non sono seriali, né destinati alla prima standardizzazione di un’identità politica: si tratta piuttosto di “pezzi unici” proposti per stabilizzare il ricordo patriottico quasi per contatto, vvicinandosi a un indumento o a una reliquia laica dell’eroe. Una santità di nuovo conio, che si afferma attraverso itinerari di conservazione (e di mercato) diversi dai precedenti. Eppure, nelle collezioni, oggi spesso figurano gli uni accanto agli altri.
Questi studi, al di là della piacevole scorribanda in un passato poco frequentato, hanno quindi anche un’evidente utilità pratica: rendere le “macchine narrative” dei nostri musei più realistiche, più interessanti e meno retoriche.
Roberto Balzani Il Domenicale 27 marzo 2022
Garibaldi con il cappello all’Ernani