LA CONTESSA DI CASTIGLIONE CONTRIBUÌ CON IL SUO FASCINO ALL’UNITÀ D’ITALIA
Paolo Mieli Corriere della Sera 11 ottobre 2021
Virginia Oldoini, contessa di Castiglione, nata a Firenze nel 1837, morì a Parigi allo scader dell’Ottocento, il 29 novembre del 1899, colpita da apoplessia cerebrale. Aveva 62 anni. Da tempo viveva appartata e progettava una mostra di proprie fotografie che doveva inaugurarsi, pochi mesi dopo, in occasione dell’Esposizione universale, con il titolo La più bella donna del secolo. Una sorta di riscatto dal suo decadimento fisico e sociale. Di cui lei, però, «sembrava compiacersi», scrive Benedetta Craveri in La contessa, in uscita il 14 ottobre da Adelphi. Negli ultimi anni, prosegue Craveri, Virginia aveva preso l’abitudine di passare molte ore in una saletta riservata del ristorante al pianterreno della sua abitazione in rue Cambon, chiacchierando con i camerieri e «bevendo troppo champagne». Alla notizia della sua morte, un giovane diplomatico italiano di grande avvenire, Carlo Scorza, si era precipitato nell’appartamento della nobildonna per appropriarsi di ogni carta che avesse trovato e distruggerla all’istante. A corte s’era diffuso il timore che avesse lasciato traccia del ruolo da lei giocato in una delicatissima fase del nostro Risorgimento, alla fine degli anni Cinquanta.
Napoleone III di Francia ritratto da Franz Xaver Winterhalter nel 1855
Qualche tempo prima, nella Francia passata nel 1870 dal Secondo Impero alla Terza Repubblica, i giornali avevano dato notizia di un furto alla legazione italiana nel corso del quale pareva fossero scomparsi documenti lasciati in deposito dalla contessa di Castiglione, tra cui «incartamenti riservati» dell’imperatore Napoleone III. Niente di vero. Però i giornali insistevano con le insinuazioni. E Vittorio Emanuele II si era assai preoccupato. In tempi successivi, il quotidiano «Le Gaulois» — nell’informare i propri lettori che la contessa si era trasferita da Place Vendôme alla più modesta rue Cambon — aveva pubblicato un articolo in cui si parlava quasi esplicitamente della «Castiglione» (dal cognome del marito, Francesco Verasis conte di Castiglione) come di «una delle tante dame del Decameron imperiale». Il giornale faceva riferimento, non senza qualche punta di volgarità, alla relazione avuta da Virginia con Napoleone III e ironizzava pesantemente sul fatto che ora avesse perso ogni bellezza, colpita dall’«onta» della vecchiaia. La contessa aveva risposto con parole che dicevano molto del suo stato d’animo (e anche del suo orgoglio): «Com’è possibile», domandava all’editore del «Gaulois», «che, in questa terra famosa per la cortesia e il buon gusto, un uomo come il signor Arthur Meyer lasci pubblicare un pezzo in cui, con il pretesto del mio trasferimento di abitazione, si sbeffeggino crudelmente la mia vecchiaia e la mia bruttezza?». E ancora: «Se sono vecchia e brutta non è colpa mia e fino ad oggi ho creduto che se non la bruttezza almeno la vecchiaia meritasse il rispetto delle persone perbene».
Perché queste ricorrenti attenzioni a Virginia Oldoini? I giornali in realtà si erano sempre occupati di lei. Il primo a notarla — nel 1852, quando aveva appena quindici anni — era stato il bisettimanale «L’Arte» che in una cronaca mondana la presentò come «una delle più portentose bellezze fiorentine del giorno… dotata di una venustà poco terrestre». Effettivamente Virginia era dotata di un’avvenenza davvero fuori del comune, dote che impensierì i suoi genitori sin dai tempi della sua adolescenza. Né il buon matrimonio, a 17 anni non ancora compiuti, né la nascita, poco dopo, di un figlio, avevano cambiato la situazione: restava una giovane decisa, forse anche per rifarsi di una certa anaffettività dei genitori, a far valere il suo fascino. Con spregiudicatezza. Iniziò giovanissima ad accumulare flirt. Senza preoccuparsi più che tanto dei pettegolezzi provocati da questa sua intensa attività sentimentale. Di regola, scrive Benedetta Craveri, «si concedeva agli uomini solo se potevano esserle utili ed era pronta a punirli per averla costretta a concedersi».
Nel gennaio 1854 — come si diceva — sposò Francesco Verasis, venticinquenne, vedovo. Un anno dopo nacque suo figlio, Giorgio. Tre mesi dopo ebbe un primo amante, Ambrogio Doria, il migliore amico del marito. Con lui, scrive Craveri, «inaugurò un rudimentale codice cifrato con cui avrebbe annotato nel diario i diversi gradi di intimità concessi ai suoi spasimanti, dove “b” stava probabilmente per baci, “bx” per abbracci e carezze intime, “f” per atto sessuale completo».
Cavour e l’ambasciatore a Parigi Costantino Nigra
Trascorse pochissimo tempo e gli alti vertici del costituendo Stato italiano (che ben la conoscevano) decisero di usarla come esca per una importante manovra diplomatica. Quando, diciannovenne, si presentò a Parigi con la missione — affidatole da Cavour del quale per matrimonio era diventata parente — di entrare nelle grazie di Napoleone III, i quotidiani francesi la elessero immediatamente a personaggio di primissimo piano. Fin dal giorno del suo debutto nell’alta società, il 9 gennaio 1856. In quel momento — ai tempi della guerra di Crimea — per il Regno sabaudo era fondamentale stringere un’alleanza indissolubile con la Francia in funzione antiaustriaca. Con l’incoraggiamento di Vittorio Emanuele II (con il quale la contessa già nel 1855 aveva avuto un incontro amoroso fugace, ma destinato a ripetersi nel tempo) nonché, si disse, una sorta di tacito consenso del marito, Virginia Oldoini — intelligente, spregiudicata, con una qualche vocazione al mestiere di attrice — fu individuata come la persona adatta a saldare quell’asse. E lei si prestò. Con entusiasmo. Cavour parlò esplicitamente del suo piano in una lettera al ministro degli Esteri Luigi Cibrario: «Vi avverto che ho arruolato nelle file della diplomazia la bellissima contessa di Castiglione, invitandola a conqueter ed a sedurre, ove d’uopo, l’Imperatore». Aggiungeva poi, l’allora presidente del Consiglio, che la dama si era già messa all’opera. Il compito di sovraintendere a che tutto filasse per il verso giusto era affidato a un giovane diplomatico, Costantino Nigra. E tutto andò come era stato pianificato. Napoleone III «conquistò» il cuore della bella contessa e questo rese più agevoli i rapporti della Francia con il Regno sabaudo.
Unico difetto dell’operazione fu quello di essere eccessivamente esplicita. Nei ricevimenti non si parlava d’altro. Fin troppo. In una lettera nella quale si faceva il resoconto di una di queste serate l’ambasciatore inglese Lord Cowley osservava: «La condotta di sua maestà con la Castiglione ha scandalizzato tutti». E, proseguiva il diplomatico, ciò «metteva in grave imbarazzo» la moglie dell’imperatore, Eugenia de Montijo, figlia di un grande aristocratico spagnolo. Nei carteggi esaminati da Benedetta Craveri spuntano critiche all’italiana: «manca di fascino» (principessa di Metternich), «vanitosa, egoista, fredda, dura» (François Guizot). L’imperatrice Eugenia — abile tessitrice di rapporti — per contrattaccare incoraggiò un’altra dama italiana, Maria Anna Zanobi di Ricci (moglie del conte polacco Alessandro Colonna-Walewski), a farsi avanti per entrare nelle grazie di Napoleone III. Con successo: questa relazione allontanò l’imperatore dalla Castiglione. Allontanamento che fu propiziato anche da considerazioni d’ordine politico. Soprattutto dopo l’attentato di Felice Orsini (14 gennaio 1858) che causò la morte di 12 persone e il ferimento di altre 156. In realtà né la Castiglione, né Cavour e neanche Giuseppe Mazzini avevano avuto responsabilità nella strage provocata da Orsini. Ma gli effetti di quell’episodio di sangue e l’imminenza della guerra del 1859 suggerirono all’imperatore di diradare gli incontri con la contessa di Castiglione.
Lei non si diede per vinta. Andò a Londra, tornò in Italia e poi di nuovo a Parigi sempre intenzionata a riprendersi un ruolo da protagonista. Ma non ci fu niente da fare: a missione compiuta, venne «abbandonata al suo destino, separata da un marito da lei umiliato e ridotto sul lastrico e assediata da schiere di amanti». Dallo straordinario ritratto che ne fa Benedetta Craveri (dopo aver consultato una mole impressionante di documenti) emerge un personaggio davvero considerevole. Assai diversa dall’immagine di bella e ingenua ragazza consegnata da una cinica diplomazia tra le braccia dell’imperatore dei francesi. Virginia fu in realtà anche un’attivista politica consapevole e dotata di un certo acume. All’inizio degli anni Sessanta, la contessa tornò a Parigi dove ristabilì un rapporto di complicità con Nigra. Ma a ruoli ribaltati. Adesso, scrive Craveri, «era Nigra a godere della benevolenza di Napoleone III e del favore dell’imperatrice». Stavolta l’alleanza tra i due si estese alla sfera intima, ma entrambi «praticavano l’amore come un gioco e non ne facevano mistero». Era raro, osserva Craveri, che Virginia incontrasse «giocatori all’altezza» ma quel diplomatico «aveva le carte in regola per tenerle testa». Provocando però in lei una sottile gelosia per il ruolo che Nigra aveva saputo guadagnarsi a corte. Secondo il principe Bernhard von Bülow, «con i suoi modi squisiti e le garbate poesie» il diplomatico «aveva saputo conquistare il cuore di Eugenia».
Alla morte del marito, Virginia, trentenne, si comportò in modo inaudito con il giovanissimo figlio, impedendogli in ogni modo di emanciparsi. Costantino Nigra si disse scandalizzato da questa condotta della sua complice, amante e amica. Il ragazzo, Giorgio, provò a ribellarsi, ad impadronirsi di documenti compromettenti per ricattare la madre così da ottenere ciò che gli era dovuto. Ma fu tutto inutile. Solo quando raggiunse la maggiore età, il ragazzo riuscì a ottenere i mezzi per studiare, sposarsi (con una cugina), intraprendere la carriera diplomatica. Ma la felicità — ammesso che la si possa definire così — durò poco: il 14 novembre 1879, all’età di ventiquattro anni Giorgio morì. A Madrid, ucciso dal vaiolo.
Virginia adesso puntò a rendere stabile il legame, riallacciato, con Vittorio Emanuele II, anch’egli vedovo. Il sovrano la incontrò qualche volta nonostante avesse da tempo un rapporto para matrimoniale con Rosa Vercellana (che gli aveva dato due figli). La contessa riteneva di poter scalzare facilmente quella «contadina zotica invecchiata anzitempo». Errore. Il re — che, secondo le Note azzurre di Carlo Dossi, amava le avventure e aveva a budget «circa un milione e mezzo l’anno nella rubrica donne» — nell’estate del 1867 ritenne sufficiente aiutarla in alcune speculazioni e farle recapitare una propria foto con dedica alla «carissima Nicchia». Due anni dopo, pensando di essere in punto di morte, Vittorio Emanuele II si unì in matrimonio morganatico con la Vercellana. Ma nel 1870, al momento della presa di Roma, si servì ancora una volta della Castiglione (per via dell’amicizia tra la contessa e il cardinale Giacomo Antonelli, segretario di Stato del Pontefice) così da attivare un canale di mediazione con Pio IX.
Qualche tempo dopo, a seguito della sconfitta dell’esercito di Napoleone III a Sedan, appena nacque la Terza Repubblica, la contessa si rivolse per iscritto al nuovo capo del governo Adolphe Thiers — da lei conosciuto ai tempi del Secondo Impero — per sottoporre alla sua «benevolenza personale» due suoi amanti: il conte Lao Bentivoglio (un ex di quindici anni prima) e il barone Arthur-Léon Imbert de Saint-Amand. Affiora in lei, nel corso di questi anni successivi al 1870, una qualche punta di mitomania: «Sono stata la mente e l’anima della Storia Italiana, Prussiana e Francese, lasciando a Thiers la gloria apparante, e senza mai raccontarlo a nessuno», scriveva di sé all’istruttore del figlio. Dopodiché, sempre a Parigi, prese a brigare con gli Orléans — in particolare Robert duca di Chartres — perché approfittassero del clima di incertezza e restaurassero con un colpo di mano la monarchia. A rinforzare questo ruolo di partigiana della restaurazione monarchica in Francia, fu il rapporto che la legò al giornalista Paul Granier de Cassagnac, il quale conduceva dalle colonne del quotidiano «Le Pays» una violenta campagna antirepubblicana. Per poi aggiungere al suo carnet di amanti un altro giornalista, Xavier Eyma, che però era anche esperto di finanza e poteva aiutarla a fare guadagni in borsa.
Ma con la loro scomparsa Cavour, Napoleone III e Vittorio Emanuele II avevano portato con sé il palcoscenico sul quale aveva potuto recitare da attrice. Grande attrice. Di più: da protagonista.
Luis Pierson Countess Castiglione 1860 MOMA