Sarebbe importante nella festa del 17 Marzo ritrovare, in ogni famiglia, un tassello di storia patria… Editoriale del Corriere della Sera del 13 Febbraio di Aldo Cazzullo
La discussione sulla festa del 17 marzo riflette lo scetticismo con cui partiti e ambienti culturali diversi guardano ai 150 anni della nostra nazione. Il Risorgimento non è mai stato caro alla sinistra marxista, che da Gramsci in giù l’ha visto per quel che era: non una rivoluzione sociale ma una rivoluzione nazionale. È tradizionalmente stato inviso ai cattolici, perché si fece contro il Papa (per quanto la Chiesa ora guardi ai 150 anni con attenzione e rispetto). Alle idiosincrasie storiche si aggiungono quelle dei leghisti – ma non tutti – al Nord e dei neoborbonici al Sud. E contribuisce al clima da festa triste non solo la forte contrapposizione politica, ma anche l’antica tendenza all’autodenigrazione. L’intellettuale si sente anticonformista nel ripetere luoghi comuni spacciati per arditi revisionismi: meglio i briganti dei bersaglieri, meglio gli austriaci dei patrioti.
Del resto, la nostra storia viene sovente rappresentata come una sequela di calamità o al più come una vicenda fatta da altri, che non ci interessa e non ci riguarda: la Controriforma senza Riforma, la vittoria mutilata, la Resistenza tradita, i proletari senza rivoluzione; e appunto il Risorgimento incompiuto. Non a caso continuano a uscire libri «contro», che evocano il martirio del Sud, i crimini di guerra di Gaeta, le virtù di Radetzky, il «lato oscuro» del Risorgimento. Non che le pagine nere vadano occultate, anzi. Ma la festa dovrebbe essere il momento giusto per raccontare anche il lato luminoso dell’unificazione e di questi 150 anni di vita comune. E senza bisogno di libri.
In ogni famiglia c’è un personaggio che ha contribuito a fare la storia d’Italia. Il padre soldato nella Seconda guerra mondiale. Lo zio resistente nelle varie forme che la Resistenza assunse, dalle bande partigiane ai militari internati in Germania, dagli ebrei alle donne, dai sacerdoti ai civili. Il nonno cavaliere di Vittorio Veneto. L’antenato mazziniano o garibaldino o volontario delle guerre risorgimentali. Ogni famiglia custodisce un frammento della vicenda nazionale. Di cui magari non si parla mai. A volte sono memorie tristi, che solo di recente sono diventate discorso pubblico ma di cui non si dovrebbe più avere timore, dalle persecuzioni razziali alle foibe, dalle repressioni nazifasciste alle vendette partigiane. In generale, molti reduci non amano parlare della guerra, neppure se vittoriosa; e i giovani sono spesso distratti.
Sarebbe importante che la festa del 17 marzo fosse l’occasione per ritrovare, in ogni famiglia, quel tassello di storia patria. Custodito spesso dalle donne, che alla terra dei padri tengono anche più degli uomini. Tutti insieme, quei tasselli sono il grande racconto del nostro passato, spesso ribadito da lettere, carte, oggetti, simboli: un patrimonio prezioso, che però i nostri figli e nipoti non hanno mai visto o compreso sino in fondo. Un giorno di riposo, che divenisse l’occasione per narrare e recuperare quel che ogni famiglia ha dato al nostro Paese, gioverebbe al sentimento dell’unità nazionale più di tante celebrazioni.
13 febbraio 2011