Caro Direttore,
il tuo editoriale (Le False notizie e la Storia) è come sempre attinente e colto e sollecita meditazioni. Quando ancora non si usava in Italia questa espressione, fake news, un po’degradante per il nostro sistema culturale, e si usava il termine false notizie l’espressione era adoperata ampiamente. C’erano i casi storici a cui ti riferisci. Si spargevano false notizie in campo commerciale (il Conte di Montecristo non aveva inventato nulla con le sue notizie distorte sui titoli azionari perché se ne inventavano a bizzeffe), in campo di moralità familiare e, naturalmente, in campo politico. La novità maggiore sta, come osservi giustamente, nella dimensione di massa assicurata da internet cui non si oppone un filtro. Ma il filtro non può che consistere nell’attitudine critica di società che ormai da molto tempo assicurano l’istruzione di base a una parte preponderante della cittadinanza. Si vede che la scuola non abitua alla lettura critica dei testi, per la quale non servono gli strumenti della filologia ma quelli del buon senso. Naturalmente, i giornali e le televisioni potrebbero dedicare apposite rubriche per mettere in evidenza i casi più eclatanti, magari nelle edizioni online. Purtroppo anche i giornali italiani non sfuggono alla mancanza di senso critico anche in questa occasione. Le fake news (ormai rassegniamoci) sono in campo da anni, ma improvvisamente diventano il clou dei salottini televisivi e delle prime pagine. Bene. Anche questo è fake news. Il nostro paese ha gravissimi problemi insoluti, di tipo economico, di tipo sociale e culturale, ma basta un fischio e il dibattito politico in quelle sedi si trasferisce su quello che non è che un piccolo problema di costume. La campagna elettorale ondeggia come i velocisti nelle tappe in linea del giro d’Italia, il gruppone segue si getta sul capofila. La volata è troppo lunga e molto noiosa. Vedremo cosa accade agli ultimi metri che, come spesso negli ultimi anni saranno confusi e non ci diranno con chiarezza le cose più importanti: quali sono i riferimenti culturali dei “girini”, le concezioni di destra o di sinistra che concepiscono, i gruppi sociali che si intendono rappresentare. Non stupisce che anche i grandi tifosi del “ciclismo politico” si addormentino sulla poltrona o cambino canale o spengano il televisore, rimpiangendo i tempi di Van Steembergen e De Filippis.
Fabio Bertini