I visitatori sono una risorsa: un acquazzone di denaro da gestire con intelligenza. Altrimenti esondano i canali e saltano i tombini
Gian Antonio Stella Corriere della Sera 3 giugno
Firenze e Venezia non ne possono più, di un certo turismo prepotente. C’è chi dirà che è facile fare gli insofferenti con la pancia piena e chissà quante altre realtà vorrebbero esser alluvionate da moltitudini di visitatori. La svolta parallela delle due città d’arte più amate dagli stranieri non è però lo sfogo di chi è già sazio. Dietro la scelta del sindaco fiorentino Dario Nardella di bagnare i marciapiedi e i sagrati «presi d’assalto da turisti poco civili che li imbrattano mangiandoci e bevendo» e del suo collega veneziano Luigi Brugnaro di arginare l’orda quotidiana di ospiti invadenti mettendosi di traverso a nuovi alberghi e bed&breakfast c’è di più. Molto di più. C’è, finalmente, la presa d’atto dell’impossibilità di accogliere tutti senza pagare un prezzo spropositato sul fronte del degrado dei nostri tesori urbanistici. Vale per le grandi metropoli d’arte come Roma e più ancora per i gioielli medievali come San Gimignano dove un fazzoletto di viuzze e torri e botteghe lungo meno di un chilometro e largo la metà è assediato da centinaia di auto e almeno cinquantasei pullman da tredici metri al giorno con punte di oltre un centinaio, costringendo il municipio a svuotare tre volte al giorno i cestini e scopare due volte al dì i vicoli e le piazze nella sfida immane di portar via tutto il pattume abbandonato dal passaggio dei barbari. Ne vale la pena? No.
Patrimonio Unesco
Certo, anche stando alla larga dallo stereotipo del «petrolio d’Italia» (frase fatta che poi spinge i creativi più scadenti a mettere una pompa da benzinaio in mano ai Bronzi di Riace), ogni cittadino italiano ha ben chiaro che il turismo nel suo momento di boom mondiale è una straordinaria opportunità per un Paese come il nostro. Che col triplo dei siti Unesco ha quasi due milioni di occupati nel turismo in meno del Regno Unito. E la metà, con l’indotto, della Germania. Sia benedetto, questo acquazzone di turisti e denaro. Ogni acquazzone, però, va gestito con intelligenza. Sennò esondano i canali e saltano i tombini.
Il boom dei posti letto
A Venezia, dove i fotografi hanno immortalato non solo navi gigantesche e restauri da far accapponare le pelle ma gringos con le bici d’acqua, distese di nottambuli in sacchi a pelo, scorpacciate nei campielli di involtini primavera, gare di tuffi acrobatici dai ponti, vecchi fricchettoni nudi nelle calli e cialtroni evacuanti a ogni angolo, sono state censite strutture ricettive di vario tipo per 47.229 posti letto. Più, immaginiamo, quelle abusive. In una città ridotta a meno di 55 mila abitanti. Era ora che arrivasse la proposta di bloccare nuovi alberghi e nuovi affittacamere come ha fatto Barcellona al grido di «Barcellona non è Venezia»! La conversione in hotel dell’ultimo asilo per bambini a San Marco o lo sfratto del professore centenario per mettere nel suo vecchio quartierino un altro B&B hanno marcato il limite. Basta.
Degrado crea degrado
Nessuno, in nome di un’idea insana della democrazia, pretende di fare entrare mille persone insieme nella Cappella degli Scrovegni. Nessuno. E lo stesso deve valere per certi centri storici troppo piccoli e fragili per essere invasi da milioni di assatanati del «tutto e subito» che magari, come nel cuore della Firenze medicea, schizzano via sui risciò (i risciò!) come fossero a Bangkok o Calcutta. Quanto al degrado, alla sporcizia, all’incuria, vale l’antico monito: degrado crea degrado. E a nulla vale lagnarsi contro la sbalorditiva velocità con cui troppi stranieri che a casa loro non oserebbero gettare un mozzicone a terra si lasciano contagiare dal più volgare andazzo nostrano: liberi tutti! Vanno colpiti, sia chiaro, con la mano ferma. Ma l’esempio, perché serva davvero, deve partire da noi.