Abbiamo bisogno di adottare un più alto profilo nel Mediterraneo rispetto al passato. Se vogliamo provvedere alla nostra sicurezza nelle nuove condizioni abbiamo bisogno di svolgervi un ruolo sempre più attivo
Angelo Panebianco Corriere della Sera 23 ottobre
È stato un successo italiano, la settimana scorsa, l’accoglimento da parte dell’Unesco della nostra proposta di istituire un corpo di «caschi blu della cultura» a protezione dei patrimoni culturali messi a rischio dalla furia umana e dalle catastrofi naturali. L’Italia avrà inoltre un ruolo centrale nella creazione di questa task force specializzata. C’è da rallegrarsene. Arte e cultura sono, per il mondo, ciò che meglio definisce l’identità italiana ed è giusto che al nostro Paese sia riconosciuto un ruolo di leadership. Nulla da eccepire. Tranne forse il nostro solito eccesso di fiducia nelle capacità operative dell’Onu e delle sue affiliate. I caschi blu (anche quelli più tradizionali, con compiti militari) godono di grande popolarità dalle parti del governo Renzi. È solo di qualche settimana fa la decisione del premier di aumentare il nostro contributo in uomini ai contingenti delle Nazioni Unite. Ma vale la pena di sfoggiare tanto ossequio?
Da un bel film del 2001, No Man’s Land (del regista bosniaco Danis Tanovic), il grande pubblico apprese quale nomignolo i miliziani (serbi, croati, musulmani) delle guerre jugoslave avessero appiccicato ai caschi blu delle Nazioni Unite. Li chiamavano «i puffi» (per via del blu che li accomunava ai celebri personaggi dei cartoni) considerandoli al tempo stesso costosi e del tutto inutili.
È urgente che l’Italia assuma un atteggiamento più disincantato, meno genuflesso, nei confronti delle Nazioni Unite.
La destabilizzazione in atto del Mediterraneo ci obbliga, al fine di tutelare la nostra sicurezza, ad adottare un approccio non ideologico, realista, di fronte alle crisi attuali. Quando in gioco c’è la tua pelle, non puoi stare lì ad aspettare che la tua azione difensiva venga preventivamente approvata dall’Onu. Continuando così a indulgere nella finzione secondo cui solo il marchio delle Nazioni Unite sia in grado di conferire a qualunque azione internazionale «legalità» e «legittimità» (due parole che molti, erroneamente, considerano sinonimi).
Può anche essere giusta, può anche rispondere ad ineccepibili valutazioni tecnico-operative, la decisione italiana di non partecipare ai bombardamenti dello Stato islamico in Siria. Basta che non si tirino fuori le cosiddette «ragioni giuridiche» (l’assenza del marchio delle Nazioni Unite). Poiché di fronte a una minaccia come lo Stato islamico tali ragioni giuridiche contano zero.
A rovescio, il ragionamento vale anche, almeno in parte, per la Libia. Che si debba andare oppure no in Libia per combattere quella particolare guerra detta di peace enforcing , di imposizione della pace mediante le armi, può essere una decisione saggia oppure no. Ma pur riconoscendo l’indubbia utilità del fatto che una simile spedizione goda della copertura Onu e quindi, implicitamente, dell’assenso di governi arabi (per renderla accettabile agli occhi di una parte dei libici), non è l’Onu che può stabilirne il grado di saggezza. Questo possono farlo solo i governi degli Stati, Italia in testa, la cui sicurezza è oggi a rischio a causa del caos libico.
Senza contare che gli sforzi dell’Onu di trovare una soluzione politica nel caso libico sono fin qui tutti falliti. Da ultimo è già fallito il tentativo di piegare a un accordo i governi nemici di Tobruk e di Tripoli.
Bisognerebbe sbarazzarsi di quell’ideologia onusiana qui da noi diffusa in ambiti piuttosto ristretti (volontariato cattolico, militanti di sinistra) e tuttavia influenti sugli atteggiamenti del governo. L’Onu non è l’embrione di un «governo mondiale» come si tende a pensare in quegli ambienti. Non vi somiglia neanche un po’.
Ed è pure una fortuna, tenuto conto della natura dei regimi di alcune grandi potenze che siedono nel Consiglio di Sicurezza (Cina, Russia), nonché di tanti Paesi rappresentati nell’Assemblea Generale. Dio ci scampi da un governo mondiale (ancorché embrionale) così impestato di autoritarismo. L’Onu è soltanto un utile luogo di discussione che consente all’opinione pubblica mondiale di comprendere quale sia il clima, soprattutto nei rapporti fra le grandi potenze. E a questo c’è ben poco da aggiungere.
Prima assumiamo un atteggiamento disincantato verso le Nazioni Unite e meglio è. Soprattutto oggi che abbiamo bisogno di adottare un più alto profilo nel Mediterraneo rispetto al passato. Se vogliamo provvedere alla nostra sicurezza nelle nuove condizioni abbiamo bisogno di svolgervi un ruolo sempre più attivo. Occorre investire non solo tempo ma anche risorse per potenziare la nostra capacità di intervento militare e di influenza diplomatica. Senza farsi inutili illusioni sull’Onu. Muovendoci piuttosto, se è possibile, in accordo con la Nato (l’esercitazione Nato in corso nel Mediterraneo segnala, se non la fine di una inerzia durata a lungo, per lo meno una volontà di risveglio).
Sapendo però anche che dire Nato significa dire Stati Uniti e che, senza un nuovo attivismo dell’amministrazione americana nell’area, dovremo arrangiarci, diventare punto di raccordo fra i Paesi della regione con interessi di sicurezza simili ai nostri.
Un atteggiamento più «laico» nei confronti delle Nazioni Unite appare tuttavia di difficile adozione da parte del governo Renzi. Per il quale, evidentemente, una politica economica che dà così tanti dispiaceri alla sinistra tradizionale deve essere bilanciata da concessioni su altri versanti, si tratti di unioni civili o di omaggi all’ideologia onusiana. Solo che quando è in ballo la sicurezza diventa rischioso continuare a giocare con l’ideologia.