Se guardiamo al Risorgimento, ancora dopo oltre un secolo colpisce la partecipazione di tanti italiani, giovani e meno giovani, alle battaglie e agli eventi più importanti, come i moti del ’48 e le spedizioni garibaldine, come volontari.
Si tratta cioè di una partecipazione frutto di libera scelta, non imposta da nessuno, che comportava rischi personali e delle famiglie. È difficile quantificare il numero di quanti, rispondendo a un impulso di coscienza o alla speranza di un domani diverso e migliore, presero le armi spesso senza un vero addestramento militare.
Tuttavia il fenomeno del volontariato risale a molto tempo prima, all’età napoleonica, quando molti giovani europei si arruolarono negli eserciti francesi allo scopo di difendere gli ideali della rivoluzione. In Italia ugualmente molti giovani – come ad esempio Ugo Foscolo – combatterono negli eserciti napoleonici con un proprio stendardo, il tricolore italiano bianco, rosso e verde. È con questa bandiera, sulla quale poi venne aggiunto lo scudo sabaudo, che i patrioti italiani combatterono dal 1848. Un ruolo importante per la formazione di una coscienza nazionale venne svolto dal movimento romantico che aveva elaborato il concetto di nazione così come Manzoni lo presenta nell’ode Marzo 1821. In questa concezione la lotta per l’indipendenza di un popolo oppresso da tiranni e stranieri è la lotta di tutti coloro che combattono per gli ideali di libertà, di uguaglianza e quindi di fratellanza di tutti gli uomini e quindi nel corso dell’Ottocento vediamo che volontari di ogni nazione combattono per la liberazione di tutti i popoli oppressi. È il caso di Lord Byron e Santorre di Santarosa, che combatterono per la liberazione della Grecia alla fine degli anni ’20, dei volontari polacchi e ungheresi che ritroviamo nella spedizione dei Mille e dei volontari italiani che combatterono in Europa per la liberazione di altri popoli e anche per la liberazione degli schiavi durante la guerra di secessione in America.
La I guerra d’indipendenza e le repubbliche di Roma e Venezia nel 1849 videro una forte presenza di volontari, specialmente di orientamento democratico, repubblicano, grazie all’opera di propaganda di Giuseppe Mazzini e degli affiliati alla Giovine Italia. La lotta per l’unità e l’indipendenza d’Italia fu quindi prima di tutto un fatto spirituale, a differenza dell’unificazione tedesca che, avvenuta un decennio più tardi, fu il compimento di una unificazione territoriale e politica. Ed è questo che fa sì che il volontarismo costituisca l’anima vera e profonda del Risorgimento italiano , tanto è vero che i volontari appartenevano a tutte le classi sociali e fra di loro un ruolo non secondario è svolto anche dalle donne come Cristina di Belgioioso e l’americana Margaret Fuller, che si occuparono dei feriti durante gli scontri per la difesa della Repubblica Romana, e le garibaldine Jessie White Mario e Rose Montmasson, che seguirono i mariti (Alberto Mario e Francesco Crispi) durante la spedizione dei Mille.
La sconfitta dei democratici nel 1848-’49 non significò la fine del fenomeno del volontarismo. Anzi, il generale ripensamento politico che si ebbe nel cosiddetto “decennio di preparazione” lo pose all’attenzione di chi voleva risolvere il problema italiano rispettando, se necessario, anche i compromessi della realpolitik. La costituzione della Società Nazionale ad opera di Cavour non significò il rifiuto a priori dell’aiuto dei volontari, ma il loro utilizzo guidato e finalizzato al successo delle iniziative belliche e diplomatiche. Nel 1859 infatti, più che “cani sciolti”, abbiamo il tentativo riuscito di arruolare volontari provenienti da tutta Italia nell’esercito regolare piemontese o nel corpo dei Cacciatori delle Alpi distaccati, sotto il comando di Garibaldi, in un settore periferico delle operazioni. Questi giovani provenivano per lo più dall’Italia settentrionale e centrale, ma non mancavano meridionali. L’altro dato interessante è la condizione sociale, quando è dichiarata. Sono molto pochi i contadini, ma non mancano possidenti e proprietari, aristocratici, ovviamente molti studenti e tanti, tanti artigiani e lavoratori. I religiosi sono la categoria meno rappresentata ed è comprensibile, perché uno degli obiettivi dell’unificazione italiana era la fine del potere temporale dei papi. In pratica abbiamo una partecipazione popolare diffusa e – a quanto pare – convinta. Evidentemente tutto il lavoro politico clandestino fatto attraverso la propaganda mazziniana e il dibattito fra le altre correnti di pensiero, veicolati anche attraverso strumenti di comunicazione come i canti, la stampa popolare e l’opera, alla fine del “decennio di preparazione” dette i suoi frutti. Indubbiamente il fenomeno del volontarismo toccò il suo culmine con la spedizione dei Mille, durante la quale il numero dei volontari andò progressivamente ingrossandosi.
Se il volontariato aveva avuto carattere militare e politicamente si rifaceva soprattutto agli ideali democratici, una volta raggiunta l’unità, quel patrimonio di idee, di esperienze e di risorse umane non si disperse, ma acquistò caratteri nuovi. I democratici erano usciti sconfitti politicamente, l’unificazione era avvenuta sotto il segno moderato e monarchico, ma continuarono a far sentire la propria voce attraverso l’arte con la pittura dei macchiaioli e nella società civile. I reduci, una volta ritornati alle attività consuete, fondarono proprie associazioni, alcune delle quali ben presto indirizzarono i loro obiettivi all’aiuto dei bisognosi, dei sofferenti e degli infortunati. Per rimanere a Firenze, nel 1861 troviamo tra i fondatori della Fratellanza artigiana d’Italia Ferdinando Zannetti, Giuseppe Mazzoni, Giuseppe Montanelli, “col nobile intento di affratellare i lavoratori ai sacri fini di PATRIA, UMANITÀ e PROGRESSO” . I nomi rimandano alle vicende risorgimentali, ma oltre a un’azione politica da attuarsi attraverso la partecipazione alle competizioni elettorali, la propaganda, ci si preoccupava anche di elevare moralmente e spiritualmente i lavoratori. La fratellanza è basata sul riconoscimento dell’essere tutti appartenenti al genere umano, permane un sentimento religioso non di stampo trascendentale o di religione istituzionalizzata. L’obiettivo della Fratellanza artigiana d’Italia era di carattere sociale, pedagogico. Nel 1872, sempre a Firenze, fu fondata dai reduci delle patrie battaglie l’associazione Fratellanza militare, che poi assunse il nome di Vittorio Emanuele II, sull’esempio di altre “fratellanze militari” sorte un po’ in tutta Italia. Di queste è l’unica ancora esistente. La Fratellanza militare ben presto si occupò della cura dei bisognosi e degli infortunati entrando in concorrenza, quando non in conflitto, con una grande istituzione fiorentina come la Venerabile Arciconfraternita della Misericordia. Tra le due istituzioni c’era una differenza profonda non tanto per l’opera che compivano, quanto per gli ideali e i principi che animavano i loro aderenti. Per la Misericordia fondamentale era l’elemento religioso cattolico, per cui le opere di bene contribuiscono a ottenere la salvezza eterna. Per i militi della Fratellanza militare il legame che li aveva uniti durante le patrie battaglie era forte non solo come sodalizio di reduci, ma perché sui campi di battaglia si era affermato un valore di italianità che prescindeva dall’appartenenza religiosa. Infatti un altro elemento che colpisce scorrendo i nomi dei volontari citati nel volume dell’Isastia, è quello dell’appartenenza religiosa, anche se non è espressamente citata. Non dimentichiamo che il 17 febbraio 1848 Carlo Alberto promulgò le Regie Lettere Patenti con le quali si definivano “culti ammessi” quelli praticati dai valdesi e dagli ebrei. Per l’Italia rimase un fatto unico fino all’unificazione. Quindi non stupisce che ebrei e valdesi siano stati presenti come volontari nelle battaglie risorgimentali. Proprio sui campi di battaglia si affermò concretamente quell’identità nazionale che nel 1924 consentì a Nello Rosselli di definirsi “italiano di religione israelita, nonostante che la religione cattolica fosse per lo Statuto Albertino la religione ufficiale dello Stato. Perciò associazioni come le Fratellanze militari, artigiane e poi successivamente altri sodalizi di carattere laico, moderati o democratici, superavano le appartenenze religiose sostenendo il principio della libertà di pensiero, del dovere compiuto senza aspettarsi necessariamente un ricompensa qui o dopo la morte perché appartenenti a una collettività civile. I contrasti fra le associazioni cattoliche e quelle laiche furono resi più profondi, spesso con punte gravi di integralismo da una parte e di anticlericalismo dall’altra, anche dalla situazione provocata dalla questione romana e dagli espropri dei beni ecclesiastici operati un po’ ovunque dopo l’unificazione. La Chiesa di Pio IX aveva prodotto nel 1864 il Sillabo nel quale venivano condannate tutte le conquiste del pensiero umano degli ultimi cent’anni e il dogma dell’infallibilità papale con il Concilio Vaticano I (1869). Il non expedit aveva poi automaticamente escluso i sudditi cattolici dalla partecipazione alla vita politica del regno d’Italia nonostante la Legge delle Guarentigie votata il 13 maggio 1871 dal Parlamento. In questo clima il dialogo non era certo facile, anche se l’osservanza del non expedit non fu sempre rigorosa da parte di tutti i cattolici. Manzoni, ad esempio, accettò di far parte del Senato, che era di nomina regia. Quindi non di rado in queste associazioni troviamo anche cattolici che vivevano la vita del sodalizio come gli altri soci.
Ma via via che ci si allontanava dai momenti esaltanti della costruzione dello stato nazionale, gli ideali di “patria, umanità, progresso” venivano tenuti in vita e diffusi da nuove e diverse forme di associazione volte all’impegno dei singoli in favore dei più deboli e sfortunati. Se negli anni centrali del XIX secoli gli ideali di “patria, umanità, progresso” si affermavano con la lotta agli oppressori, ora si dovevano esprimere in altri ambiti, meno eroici ma più attenti ai problemi concreti. La realizzazione avveniva grazie alla costituzione di sodalizi come la Croce Bianca di Arezzo, L’Avvenire di Prato e la Croce Verde di Viareggio alla fine del XIX secolo e quella di Milano agli inizi del nuovo secolo, oltre a società di mutuo soccorso che all’aiuto economico fra i soci aggiungevano la lotta all’analfabetismo.
Tutto questo avveniva in momenti non facili, grandi cambiamenti e sconvolgimenti sociali mettevano a dura prova la tenuta del Paese. Eppure le nuove richieste di giustizia sociale spesso e volentieri si intrecciavano con un’eredità apparentemente estranea ai nuovi fermenti. Se si ebbe un’involuzione conservatrice, per non dire reazionaria, che culminò con i moti e le misure repressive del 1898, una minoranza, spesso di stampo borghese, illuminata e progressista consentì il superamento della «crisi di fine secolo». È in questo contesto che il ruolo di sodalizi come le Croci o le Fratellanze, insieme con le altre forme di associazionismo laico, diventava cruciale: guardavano al futuro, ma erano saldamente ancorati a valori risorgimentali di stampo democratico. I loro soci non si limitavano a svolgere attività di volontari prestando gratuitamente la loro opera, il loro tempo, la loro intelligenza a favore di estranei il più delle volte sconosciuti, ma si autogovernavano attraverso l’elezione degli organi dirigenti, la gestione delle risorse associative. Si ha cioè la costruzione dal basso di una «religione civile» fondata, attraverso la partecipazione, sui principi di libertà, di uguaglianza, di fratellanza, di solidarietà. E questo in un periodo in cui il diritto all’elettorato attivo era fortemente ancorato al censo, favoriva, se non l’allargamento della base elettorale, la progressiva inclusione di chi era escluso, nel tessuto socio-politico in forme di democrazia e non di paternalismo: tutti i soci erano uguali e potevano essere elettori ed eletti!
Il volontarismo di derivazione risorgimentale continuò in forme militari allo scoppio della I guerra mondiale con l’interventismo democratico e durante la II guerra mondiale troviamo in tutti i paesi occupati dalle forze nazifasciste volontari che si richiamavano, soprattutto in Italia, alla tradizione risorgimentale, liberata dagli orpelli della propaganda nazionalistica del regime. È il fenomeno della Resistenza che tanta parte ha avuto nella ricostruzione postbellica di un’Italia libera, democratica, aperta al progresso sociale ed economico.
Nel corso del ‘900 altre associazioni si sono aggiunte ai sodalizi della II metà dell’Ottocento. È ovvio che il carattere di testimonianza che era proprio dei sodalizi di reduci che, tranne pochi casi come l’ANVRG (Associazione Nazionale Volontari e Reduci Garibaldini), sono via via scomparsi, veniva meno, ma non per questo i valori della tradizione democratica risorgimentale cessavano di esistere. È il caso, per esempio, dell’AVIS (Associazione Volontari Italiani del Sangue) fondata a Milano nel 1927 da un pioniere della medicina trasfusionale in Italia, Vittorio Formentano (Firenze 1895 – Cunardo 1977). Il Dr. Formentano aveva avuto una formazione improntata a valori di utilità sociale attraverso forme di volontariato, come testimonia la sua partecipazione durante l’adolescenza alla fondazione di gruppi come il “Corpo Volontari Alpini” a Verona e il “Corpo Volontari Fucilieri” a Catania . L’associazione da lui fondata riprese, anche durante il fascismo, quegli ideali di uguaglianza e partecipazione caratteristici dei primi sodalizi dei reduci e si è battuta fino a ottenere nel 1970 che in Italia la donazione di sangue sia esclusivamente volontaria, anonima e – finalmente – gratuita. Altre associazioni più o meno grandi si sono formate soprattutto dal II dopoguerra in poi e i loro ambiti non sono stati più di carattere sociale e sanitario. Sappiamo per certo che tanti siti archeologici o musei non sarebbero aperti al pubblico se non ci fossero persone che gratuitamente si impegnano a difenderne la presenza, a sostenere gli studi e le ricerche ad essi correlati, per non parlare di altri che volontariamente e gratuitamente si prendono cura dell’ambiente o come nel caso del Centro per l’arte Vito Frazzi di Scandicci, sostengono e fanno conoscere giovani talenti musicali. Inoltre se non ci fossero volontari organizzati laici o religiosi tanti problemi legati all’accoglienza e all’inclusione dei nuovi arrivati in Italia o al recupero di chi è caduto, non sarebbero mai affrontati e risolti.
Nel corso degli ultimi decenni il fenomeno ha assunto proporzioni così vaste nel nostro Paese che con la legge 266/91 si è cercato di definirlo e regolarlo anche allo scopo di evitare che le tante luci fossero oscurate da qualche ombra come accade in tutte le vicende umane. Come i volontari delle battaglie risorgimentali, i volontari di oggi hanno le loro difficoltà nel rapportarsi alle Istituzioni. Non è facile conciliare l’entusiasmo dei volontari con le regole di persone e istituzioni ormai consolidate e questo provoca spesso disagio sia nei volontari sia in chi opera nelle Istituzioni. Eppure tutti sanno che i volontari in tanti casi sono indispensabili: sopperiscono a carenze istituzionali, sollecitano soluzioni a nuove situazioni non previste e non prevedibili, rispondono solo all’imperativo della loro coscienza senza pretendere alcuna ricompensa.
Alessandra Campagnano