Lorenzo Tomasin Sole 24 ore 21 gennaio
Che cos’è la storia della lingua? A un italiano colto, anche non laureato in Lettere, la domanda pare abbastanza facile, visto che pure chi voglia avvicinare questa materia per diletto o curiosità si orienta facilmente in biblioteca o in libreria tra volumi piuttosto noti, dalla Storia della lingua italiana di Migliorini, che ha già più di mezzo secolo, fino a vari altri vademecum di una disciplina che nella patria di Dante non ha bisogno di presentazioni. Forse non tutti sanno, però, che l’idea di fare della storia della lingua non un’appendice di altre branche, ma un tronco autonomo e molto ramificato degli studi, è un’idea non esclusiva, ma certo molto tipica dell’Italia, per ragioni che hanno che fare sia con la storia, sia con la lingua di questo Paese, l’una e l’altra inconfondibilmente e talora drammaticamente uniche nel loro genere. Sicché quella storia della lingua di cui in Italia siamo abbastanza abituati a sentir parlare è una disciplina che non sempre trova piena corrispondenza nelle storie delle altre lingue, anche delle grandi lingue europee vicine e per varie ragioni sorelle. Molte di esse non possono contare sull’autonomia, sulla vastità e insieme sull’alta frequentazione della loro storia: in Italia, è un affollato crocevia culturale. Se si parla di tedesco o di francese, d’inglese o di spagnolo, lo storico della lingua è una figura ben inquadrabile nel panorama degli studi, ma accampato su un pendìo incostantemente frequentato, che egli stesso raggiunge in molti casi come un alpeggio temporaneo, e da cui riparte di solito in direzione di studi più nettamente linguistici o più propriamente storico-letterari. Un linguista prestato alla storia (e a quella letteraria in particolare), o un letterato con passioni linguistiche. Le eccezioni ci sono, e numerose. Ma la regola è questa quasi ovunque. Non in Italia, però.
Per spiegare che cosa sia e come si racconti la storia della lingua italiana disponiamo ora, grazie a Luca Serianni (che della materia è riconosciuto maestro), di un nuovo e chiaro riferimento. Il volume Per l’italiano di ieri e di oggi non è l’ennesimo esempio di una categoria editoriale ormai superata, quella della raccolta più o meno artificiosa e posticcia di saggi già editi. Esso è piuttosto il simbolico culmine o una sorta di riassunto della carriera d’insegnamento da poco conclusa da Serianni alla “Sapienza”. Ci si ritrova qui il profilo di uno storico della lingua italiana quale oggi è o dovrebbe essere in forma esemplare e completa. In comune con il collega di letteratura questo tipo di studioso ha un passaporto che gli consente – anzi gl’impone – di attraversare la storia culturale italiana in tutta la sua traiettoria, da Dante all’editoria digitale. Non è un vero storico della lingua, in effetti, chi non può contare – anche senza arrivare alla vastità onnicomprensiva di questo libro – su un’ampiezza d’orizzonti cronologici che si ribella alle angustie di una storiografia sempre più corta, che confonde lo specialismo con la pigrizia. Come il linguista “puro” (quale per avventura non è, né vuol essere), lo storico della lingua può entrare in questioni di fonomorfologia, sintassi, lessico e testualità trattandone con o senza l’appoggio di testi (mettiamo: Interpretare e produrre un testo argomentativo). In comune con il filologo ha, comunque, un’attenzione assidua per la produzione scritta, non importa se letteraria (Carducci gli interessa quanto il barocco Paolo Zazzaroni, Metastasio quanto Fedele d’Amico) o non letteraria (le lettere di Canova lo sollecitano come le pagine di un giornale). Al classicista lo lega una padronanza assoluta del latino (senza cui è impossibile parlare sensatamente d’italiano, non importa se d’oggi o di ieri). Al musicologo, l’interesse per una cultura in cui note e parole s’intrecciano da secoli (Maschile e femminile nella librettistica verdiana). Al pedagogista lo avvicina la cura per l’insegnamento scolastico. Movendosi con la dovuta cautela, lo storico della lingua – quello di valore – ha la competenza e quindi il diritto, che Serianni sa esercitare con misura e raziocinio, di parlar dei problemi di lingua ovunque si affaccino in una società, l’italiana, che di lingua dibatte incessantemente da secoli. Gli si potrà concedere anche di osare una traduzione di un’ode di Orazio? Sì, se si tratta appunto di Luca Serianni, e proprio perché l’esercizio è mirato a dar sostanza a una proposta di ripensamento dei programmi di latino e italiano per i licei. Non per mortificarli una volta di più, ma per contaminarli allargando lo sguardo degli studenti, come lo storico della lingua fa quasi per istinto, al passato e insieme al presente e al futuro dell’italiano.