Venerdì 16 febbraio 2024 a Firenze è una mattina di lavoro come le altre. Cinquanta operai si trovano nel cantiere di via Mariti, dove è in corso la costruzione di un supermercato Esselunga. È un’area di ben diecimila metri quadrati, un tempo sede del panificio militare, che da decenni era rimasta nell’abbandono e nel degrado. Alle 8,52, in una manciata di secondi, si consuma uno dei più gravi incidenti sul lavoro avvenuti a Firenze e in Italia. Una pesante trave di cemento crolla e trascina con sé tre piani di quello che era lo scheletro dell’edificio in costruzione. Nel crollo rimangono coinvolte 8 persone e 5 di loro perdono la vita.
Questa tragedia subito è stata vista, da un’ideologica visione del mondo del lavoro, come l’ennesima speculazione immobiliare in cui ha prevalso la logica del profitto e lo sfruttamento degli operai. Il progetto era atteso da tempo dai residenti del quartiere per riqualificare un’area degradata e prevedeva un parco pubblico di 3100 m2 e un parcheggio alberato (oltre 2100 m2). Esselunga si era inoltre assunta l’onere di realizzare arredi urbani e una pista ciclabile. Quale che sia la causa di questa sciagura, è comunque grave per un paese democratico che in Italia ci siano ancora tanti caduti sul fronte del lavoro: già in questi primi mesi dell’anno abbiamo avuto 181 morti. Troppo spesso non vengono rispettate le norme di sicurezza che dovrebbero tutelare i lavoratori, non di rado precari e senza adeguata formazione professionale, mentre è ancora insufficiente la frequenza delle ispezioni da parte dei tecnici dell’Ispettorato territoriale del lavoro e dell’Inail. Fra gli stessi lavoratori a volte non è ancora sufficientemente diffusa la consapevolezza dei rischi che corrono.
Ma si comprende meglio lo scarso rispetto delle norme di sicurezza nel quadro di una carente cultura della legalità e del controllo di legalità che caratterizza il nostro paese, in cui a un sempre più ampio ventaglio di diritti non fa da pendant una diffusa consapevolezza dei doveri. Ma, come ha ben scritto Luciano Violante, “i diritti hanno bisogno dei doveri per vivere; quando si offusca la categoria dei doveri, l’unità politica si disarticola, prevale l’egoismo degli individui, la democrazia si sfalda, l’esercizio effettivo dei diritti rimane affidato al caso o ai rapporti di forza.” Senza doveri evapora il concetto stesso di nazione. Una cultura della sicurezza che deve quindi essere rafforzata anche dal radicamento tra i cittadini del valore del senso civico, dell’assunzione di responsabilità nei confronti della comunità nazionale da parte di chi governa e di chi è governato
La sociologia ha da tempo messo in evidenza l’importanza del civismo come “capitale sociale” per il funzionamento delle società. Un capitale fatto di senso di responsabilità, solidarietà, affidabilità, disponibilità a cooperare, condivisione di principi e di regole; ed è anche un potente fattore di sviluppo. In Italia la formazione del senso di cittadinanza e di appartenenza a una nazione è iniziata con il movimento risorgimentale, che, sia pure con le luci e le ombre di qualsiasi processo storico, ha costruito una società in cui il sentimento della coesione nazionale e la consapevolezza dei diritti e dei doveri dei cittadini si sono gradualmente diffusi. Nel complesso la classe politica, soprattutto nei primi decenni, ha dato prova di serietà e di disinteresse personale. E non è ovviamente da dimenticare il contributo dato da Mazzini con I doveri dell’uomo. Ma è evidentemente un processo rimasto incompiuto.
È quindi necessario un vero e proprio “risorgimento civico”, che metta al centro l’importanza del rispetto di regole e leggi giuste e faccia in modo di attivare i comportamenti adeguati anche da parte di chi le deve far rispettare, senza pavide o ideologiche forme di tolleranza. È ovviamente fondamentale il ruolo dell’educazione, che ha i suoi contesti elettivi nella famiglia e nella scuola, ma risente molto anche dell’aria che si respira nel contesto sociale. Tuttavia l’abitudine di molte autorità di evitare le sanzioni raccomandando “l’educazione”, anche per paura di essere impopolari, va abbandonata nella consapevolezza dell’effetto educativo di una sanzione giusta.
Oggi non si tratta più di essere disposti a morire per la patria, ma è ugualmente “dulce et decorum” battersi per irrobustire il collante della nazione costituito dal senso civico e dal rispetto dei propri doveri.
Sergio Casprini