
Walter Veltroni dà voce a Iris Versari, partigiana che ha scritto la Storia
Il come non lo dice. E però sostiene che «la mia prima scelta, sin da subito, è stata quella di scartare il saggio o la biografia: volevo la sua voce per dare calore e umanità a una donna dalla vita pazzesca», spiega Walter Veltroni che ha scritto Iris, la libertà, romanzo edito da Rizzoli sulla partigiana forlivese Iris Versari.
Però come Veltroni ha fatto a ricreare la voce di Iris Versari — morta a soli 22 anni e poi decorata con la medaglia d’oro al valore militare — continua a non dirlo. «Io ho sempre vissuto in mezzo alle donne. Prima mia madre, poi mia moglie, poi le mie due figlie e infine le mie gatte: sarà per questo che ho introiettato un elemento di sensibilità?», rilancia l’autore.
Il romanzo, si diceva. Veltroni usa la prima persona per tessere una storia di una donna forte, giovane e ribelle. Lo fa attraverso pagine che percorrono la storia più cupa dell’Italia, quella del nazifascismo, che viene punteggiato con inserti storici dei discorsi del Duce o dalle canzoni dell’epoca. In questa storia di resistenza — dove sono fortissime le presenze di scrittori come Italo Calvino, Beppe Fenoglio e il primissimo Mario Lattes — Veltroni lascia che la scrittura si compia in una sorta di monologo che diventa un diario intimo. Il diario di una ragazza di 16 anni — figlia di Angelo, reduce mutilato della Grande guerra, e di Alduina Calcin, madre di cinque figli — che vive in una famiglia con uno zio fieramente antifascista, che, in un’epoca come quella, abbandona la sua terra per ritrovarsi governante per un periodo nella casa fiorentina di Mario Soldati, torna nuovamente nel suo paese, si sposta a Faenza, matura la sua decisione di fare la resistenza in una formazione atipica dove il capo è Silvio Corbari, uomo dalla personalità incisiva, sposato ma innamorato di Iris, che ne diventa la sua amante. «Non mi basta fare la partigiana. Voglio essere una donna partigiana. Non è la stessa cosa», si legge nel romanzo: un passaggio che inquadra bene chi fosse davvero questa donna che, dopo aver ucciso un soldato delle SS, si suicidò il 18 agosto 1944 per assicurare la fuga dei suoi compagni partigiani, che furono catturati lo stesso e poi uccisi. Tutti appesi, compresa Iris, prima a Castrocaro e poi nella piazza principale di Forlì.
«La storia di Iris è una storia unica — riflette ad alta voce Veltroni — perché è la storia di una donna che in quegli anni non accetta il destino e lo forza sulla base della libertà. Lo fa in un momento in cui tutto, per una donna, sembrava stabilito: la morale, il sapere, la fisicità, la politica, l’amore».
E proprio l’amore è uno degli altri grandi temi del romanzo: la storia tra lei e Corbari non sfida soltanto quello che veniva imposto in quell’Italia ma anche gli equilibri di un rapporto che — per volere di questa giovane — diventa paritario. «Io ho un’ossessione per gli anni che vanno dal 1943 al 1945 — spiega ancora Veltroni che dopo La scelta e La condanna (editi entrambi da Rizzoli) prosegue con questo romanzo il racconto del triennio più drammatico del Paese — e ritengo che siano gli anni più importanti della nostra storia. Continuo a leggere di tutto su quel periodo: diaristica, racconti, biografie, saggi. Con Iris dovevo entrare in quegli anni e l’ho fatto romanzando la sua vita, che è una vita contro. Una vita che si affranca dai suoi genitori, dai datori di lavoro, dagli stessi partigiani, e dalla complessità della storia d’amore con Corbari».
Perché Iris viene vista dagli altri partigiani come la donna del capo e questo a lei non va: non è una donna doma, è una donna partigiana, è in grado di uccidere il nemico e lo fa. «Il senso di alcuni inserti — come quello del sogno di andare in America — serve a dire che quella generazione aveva fantasie e viveva di sogni nel momento in cui quei ragazzi avevano di donare la loro giovane vita per la libertà degli altri», spiega ancora Veltroni.
La casualità editoriale vuole che l’ultimo romanzo dell’ex direttore de L’Unità abbia messo al centro la storia di una partigiana così come ha fatto Giorgio van Straten, che ha scritto La ribelle – Vita leggendaria di Nada Parri (Laterza). E quando lo si fa notare, Veltroni ride: «Si vede che noi ragazzi del ’55 abbiamo una sensibilità comune… Con Giorgio presenteremo i nostri rispettivi romanzi a giugno a Prato. Abbiamo scoperto quasi per caso che stavamo scrivendo storie che avevano lo stesso tema: ci siamo sentiti, ne abbiamo parlato e ne abbiamo sorriso». Anche i personaggi maschili — a partire dal commissario prefettizio Vespignani — sono delineati in maniera marcata: si muovono sullo sfondo di un mondo che era pieno di sospetti e di grandi ideali. O — al contrario — di doppiogiochismi e idee dittatoriali. Non è un caso che proprio a Vespignani, uno che voleva salvare vite umane, sia affidato il compito — da parte di Veltroni — di raccontare la fine di questa vicenda. Come mai l’autore abbia — scientemente — scelto di raccontare la storia di una donna che è contro qualsiasi dittatura e la combatte con determinazioni e con le sue mille fragilità, è difficile dirlo. «Penso che ha ragione Ludwig Wittgenstein quando dice che “quello che è difficile teorizzare è meglio raccontare”. Io ho fatto questo», conclude Veltroni.
Simone Innocenti Corriere Fiorentino 11 aprile 2025

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