Giovanni Belardelli Corriere della Sera 15 agosto
Per il luogo stesso in cui si è svolto, Ventotene, il vertice tra Renzi, Merkel e Hollande appare destinato a riportare all’attenzione l’ipotesi federalista elaborata nel 1941 da Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi durante il loro confino su quell’isola (ne ha scritto Marco Cianca sul Corriere del 14 agosto). Temo però che i problemi in cui si dibatte attualmente l’Unione Europea — dall’incapacità a trovare una politica estera comune almeno per ciò che avviene alle porte di casa agli orientamenti sempre meno europeisti delle opinioni pubbliche – difficilmente possano trovare soluzione nell’ipotesi di una federazione.
Il progetto degli Stati Uniti d’Europa contenuto nel Manifesto di Ventotene si basava su due presupposti principali, uno dei quali si sarebbe mostrato non fondato sulla realtà, l’altro politicamente discutibile. Spinelli e Rossi individuavano nella divinizzazione della nazione e nella volontà di dominio degli Stati nazionali europei la causa prima di due guerre mondiali e di quell’affermarsi del totalitarismo sul continente che si stava allora verificando con i successi militari della Germania nazista. Ma a questa diagnosi incontestabile facevano seguire una conclusione drastica: lo Stato totalitario era l’esito obbligato e necessario di ogni Stato nazionale. Era per questo che gli Stati Uniti d’Europa apparivano loro come l’unica àncora di salvezza.
Le vicende europee dopo il 1945 avrebbero mostrato come quella assoluta demonizzazione dello Stato nazionale non fosse giustificata; tanto che le democrazie europee (occidentali) si sono potute benissimo sviluppare in ambito nazionale. Non si può certo far colpa a Spinelli e Rossi di non aver previsto il futuro, loro che scrivevano in un momento drammatico in cui appariva possibile un’Europa unificata sotto il tallone tedesco. Ma pare difficile che possa trovare nuova vitalità un’ipotesi fondata su una premessa errata.
Il secondo presupposto, quello politicamente discutibile, riguardava le modalità attraverso le quali realizzare gli Stati Uniti d’Europa nella fase ricostruttiva successiva all’auspicabile (ma nel 1941 per nulla certa) sconfitta dell’Asse. Il «partito rivoluzionario» (l’espressione si legge nel Manifesto di Ventotene) avrebbe dovuto attuare i propri obiettivi senza aspettare che le masse fossero convinte; secondo Spinelli e Rossi, voler avere preventivamente il consenso della maggioranza era all’origine della «pietosa impotenza» dei democratici in tutte le crisi rivoluzionarie. «La metodologia politica democratica – scrivevano – sarà un peso morto nella crisi rivoluzionaria». Il Manifesto di Ventotene contiene in sostanza l’idea di «una rivoluzione dall’alto di tipo giacobino-leninista», come l’ha definita Galli della Loggia ( Europa perduta? , il Mulino 2014). Del resto in un suo scritto del ‘44 Spinelli avrebbe ventilato la necessità, per realizzare il federalismo europeo, di una «dittatura rivoluzionaria» da parte di una classe dirigente che avrebbe dovuto avere «le capacità rivoluzionarie dei comunisti, senza averne le tare».
Sono affermazioni legate all’epoca e alla stessa biografia dell’ex comunista Spinelli. Ma quell’idea di un federalismo dall’alto, ammesso che possa essere accettabile dal punto di vista democratico (ciò che mi pare dubbio), è in ogni caso del tutto improponibile oggi, in un momento in cui le istituzioni di Bruxelles sono accusate precisamente di questo, dai movimenti populisti ma anche da molti cittadini europei: di decidere per noi, riproponendo una nuova forma di dispotismo illuminato, come ha scritto tra gli altri il filosofo Pierre Manent.
L’Europa è innegabilmente in difficoltà. La fiducia nelle sue istituzioni continua a calare più o meno in tutti i Paesi. La Ue non riesce a fare i conti con una crisi economica che ormai, secondo molti economisti, prefigura una stagnazione secolare. Cresciuta e sviluppatasi in un mondo bipolare, in cui poteva delegare il problema della sicurezza agli Stati Uniti, non è in grado di assumere una posizione comune praticamente in alcuno scacchiere internazionale. Illudersi di trovare la soluzione rilanciando il processo di integrazione fino addirittura alla riproposizione del Manifesto di Ventotene rischia di portare fuori strada.
Ci si dovrebbe concentrare piuttosto su pochi obiettivi chiari. Ad esempio sulla politica verso i migranti, in cui è massimo il divario tra propositi ufficiali e realtà: un mese fa i profughi ricollocati nei Paesi Ue erano solo tremila sui 160 mila concordati. Se non si riesce a fare neppure questo, ha davvero poco senso, rischia di essere un espediente puramente retorico e mediatico, rilanciare l’idea degli Stati Uniti d’Europa