Il giudizio di Metternich, i successi dei 150 anni, gli scandali
UNITA’ D’ITALIA, UN DOMANI A RISCHIO
Emilio Gentile Corriere della Sera 10 aprile
Centosessantacinque anni fa, il 12 aprile 1847, Metternich scrisse all’ambasciatore austriaco a Parigi: «La parola Italia è soltanto una denominazione geografica, un concetto utile alla lingua, ma è parola che non ha il valore politico che tentano di attribuirle gli ideologi rivoluzionari».Quindici anni dopo, l’espressione geografica «Italia» era diventata la denominazione politica di un nuovo Stato, nato dalla simbiosi fra italianità, nazione e unità. La convinzione dell’esistenza di una millenaria italianità, intesa come individualità storica, formata dalle popolazioni native della penisola nel succedersi delle generazioni, fu il presupposto comune a tutti i patrioti del Risorgimento per affermare il diritto degli italiani ad avere un proprio Stato unitario, indipendente e sovrano. Dalla simbiosi fra italianità, nazione e unità nacque nel 1861 lo Stato, nel quale si è svolta la storia degli italiani negli ultimi centocinquanta anni, scandita dalla celebrazione di tre cinquantenari.
Italia 1911, Italia 1961, Italia 2011: non c’è stata un’unica e identica Italia a festeggiare il compleanno dello Stato nazionale, ma tre Italie diverse, fra di loro persino antitetiche
Nel 1911, il cinquantennio dell’Italia unita fu celebrato dalla monarchia laica e liberale, ma la sua interpretazione della simbiosi fra italianità, nazione e unità, fu aspramente contestata dai cattolici, dai repubblicani, dai socialisti, dai nazionalisti e da molti altri che avevano diversa concezione della patria e dello Stato. Tuttavia, nessuno dei contestatori si proponeva di ricondurre l’Italia a una espressione geografica. Nel 1961, nell’Italia repubblicana, fu la Democrazia cristiana, che deteneva le massime cariche dello Stato e del governo, a officiare i festeggiamenti del centenario dello Stato italiano con la benedizione del Sommo Pontefice, interpretando la simbiosi fra italianità, nazione e unità come un parto della Divina Provvidenza: contro le celebrazioni democristiane, protestarono tutti i partiti laici, dai comunisti ai neofascisti, ma nessuno di essi auspicò la fine dello Stato nazionale. Tuttavia fu notato allora, da qualche osservatore spassionato, che negli italiani e nelle italiane del «miracolo economico» non albergava più il patriottismo, necessaria linfa vitale per la simbiosi fra italianità, nazione e unità: «Il patriottismo – scriveva già nel 1959 Domenico Bartoli sul «Corriere della Sera» – è una disposizione a sacrificare qualcosa, almeno una parte dei propri comodi. L’italiano di oggi, in tutti i ceti, ma specialmente dalla media borghesia in su, pensa soltanto a star meglio, si abbandona mollemente agli interessi immediati, al gretto egoismo». In effetti, nell’Italia del 1961, si poteva constatare la formazione di una nuova italianità collettiva, attraverso le massicce emigrazioni interne, la televisione e la diffusione dei consumi di massa, che avevano antropologicamente eguagliato gli italiani come mai era avvenuto nel secolo precedente: ma la «nuova italianità» era dissociata dallo Stato nazionale, verso il quale era indifferente, diffidente o ribelle.
La dissociazione della nuova italianità dalla nazione e dallo Stato si aggravò nel cinquantennio successivo. Nel 2011, alla vigilia del terzo cinquantenario, la presenza al governo di un movimento secessionista, che nega l’esistenza della nazione italiana e si propone il disfacimento dell’unità politica, ha reso incerta perfino la celebrazione stessa dell’anniversario. Invece, con stupore di molti, la celebrazione c’è stata, con una partecipazione popolare probabilmente più ampia del 1911 e del 1961, accompagnata da inni al ritrovato orgoglio dell’italianità. Tuttavia, trascorso un anno dalla festa dello Stato italiano, non sembra che il rinnovato orgoglio italiano abbia rinvigorito la simbiosi fra italianità, nazione e unità. Infatti, lo Stato italiano appare ogni giorno più degradato, inefficiente e corrotto, mentre cresce la sfiducia verso di esso da parte degli italiani e delle italiane. Inoltre, l’orgoglio d’italianità scaturito dal terzo cinquantenario dell’Italia unita può contenere in sé un germe parassitario, perché riguarda in massima parte beni e glorie creati dalla generazioni passate, a cominciare dalla creazione dello Stato nazionale, delle quali le generazioni presenti non hanno alcun merito.
Negli anni in cui l’Italia era una espressione geografica, Giacomo Leopardi ammoniva: «Commemorare le nostre glorie passate, è stimolo alla virtù, ma mentire e fingere le presenti è conforto all’ignavia e argomento di rimanersi contenti in questa vilissima condizione».
La simbiosi fra italianità, nazione e unità non è inevitabile né inscindibile. Non lo era quando nacque lo Stato italiano, non lo è oggi che molti ne paventano o ne auspicano la fine. Ci può essere italianità senza Stato nazionale, come c’è stata per mille anni, fin da quando Dante e Petrarca invocavano il nome «Italia», senza però concepire l’esistenza di una nazione italiana in un proprio Stato indipendente e sovrano. Centosessantacinque anni fa Metternich non immaginava che quindici anni dopo l’espressione geografica sarebbe diventata un’espressione politica.
Nulla esclude che in un futuro, prossimo o remoto, esaurita la linfa vitale della simbiosi fra italianità, nazione e unità, l’espressione politica torni ad essere un’espressione geografica. Così come nulla esclude che gli italiani e le italiane, vergognandosi delle presenti condizioni del loro Stato, siano capaci di rinnovare la simbiosi fra italianità, nazione e unità, per costruire un nuovo Stato di cittadini liberi ed eguali, di cui essere orgogliosi nelle celebrazioni del quarto cinquantenario nel 2061.
Emilio Gentile