Sia Milano come un alveare, voi pensate che i tempi siano cattivi. I tempi sono pesanti, i tempi sono difficili. Ma vivete bene e muterete i tempi. Sant’Ambrogio, Vescovo di Milano nel IV secolo
Il 26 ottobre si è svolta al Quirinale la cerimonia di apertura de “I giorni della ricerca”, l’iniziativa promossa ogni anno dall’Associazione italiana per la ricerca sul cancro. In questa occasione il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, dopo aver rinnovato a governo e Regioni l’appello all’unità contro la pandemia, ha ricordato agli italiani che “il vero nemico di tutti e di ciascuno è il virus. Il responsabile di lutti, di sofferenze, di sacrifici, di rinunce, di restrizioni alla vita normale è il virus“.
Volutamente Mattarella ha usato un linguaggio militare per ammonire gli italiani a non sottovalutare la grave minaccia che rappresenta il diffondersi del contagio. Quella contro il virus è infatti una vera e propria guerra, che va combattuta costituendo un fronte comune che veda cointeressate le istituzioni politiche, economiche e scientifiche, nazionali e sovranazionali, a oriente come a occidente, limitando per quanto possibile le divisioni tra i governi sulle scelte di politica economica e sanitaria. Rispetto però alle guerre tradizionali il Covid è un nemico più infido e subdolo: non si mostra nei campi di battaglia, ma si nasconde tra di noi nelle strade e nelle piazze, nei luoghi pubblici e nei mezzi di trasposto, nelle nostre case e in molti casi nei nostri corpi senza presentare sintomi.
Certamente nel discorso di Mattarella non c’era l’enfasi retorica del messaggio di Vittorio Emanuele III, quando il 24 maggio 1915 annunciò dal balcone del Quirinale alla folla festante l’entrata in guerra dell’Italia contro l’impero austro-ungarico. Oggi viviamo in uno stato più democratico, meno elitario e gerarchizzato di allora, in un rapporto dialettico tra istituzioni e società civile.
Mattarella, garante dell’Unità della Patria, si rivolge sia alle istituzioni che ai cittadini italiani, confidando nel loro senso di responsabilità rispetto ai sacrifici, alle rinunce e alle restrizioni che riguardano la vita normale, nella consapevolezza che una piena cittadinanza democratica comporta diritti e doveri nei confronti della comunità in cui si vive, si studia e si lavora. Il nostro Presidente, in questo drammatico frangente, più che generale è dunque un pater familias, di una famiglia che è l’intera nazione, a cui si rivolge con accenti fermi ma anche rassicuranti.
E sarebbe auspicabile che i giovani, che sono a un tempo più trasgressivi e più fragili, in questo difficile momento della loro vita sentissero di più la vicinanza del Presidente della Repubblica anche attraverso una comunicazione diretta sui cosiddetti “social”, che sono di gran lunga i loro mezzi di comunicazione preferiti. Magari a partire dal prossimo 4 NOVEMBRE, giornata dell’Unità Nazionale e delle Forze Armate.