Cento anni fa moriva a Firenze Luigi Bertelli, l’autore del «Giornalino di Gian Burrasca»
Luca Scarlini Corriere Fiorentino 26 Novembre 2020
Il 27 novembre 1920 moriva a Firenze Luigi Bertelli, assai più noto con lo pseudonimo di Vamba, che arrivava per direttissima dal romanzo d’avventure storiche Ivanhoe di Walter Scott. Si tratta di un buffone, dalla lingua tagliente, che si trova al servizio del sassone Sir Cedric, nel castello di Rotherwood. Il giornalismo era stata la sua prima musa, aveva seguito la via a Roma, comparendo su tutti i periodici alla moda della nuova capitale, Il Capitan Fracassa, il Fanfulla e il Don Chisciotte, su cui si agitavano gli avventurieri della penna. Nel tempo emerse però come linea principale, la capacità di creare racconti per bambini ricchi e poco prevedibili, in cui la didattica, dichiarata come scopo primo della pubblicistica del nuovo stato unitario, andava di pari passo con un notevole talento narrativo.
Capitale fu Il Giornalino della Domenica, mirabile pubblicazione che il nostro inaugurò nel 1906 per i tipi di Bemporad, una testata che arrivò ben dopo la sua morte, chiudendo i battenti nel 1927, quando nel frattempo la testata era diventata di proprietà della Società Editrice «Vamba» che gli era intitolata. Notevolissimo il parterre gli scrittori: Edmondo De Amicis, Grazia Deledda, Emilio Salgari, tra gli altri, stellare quello degli illustratori, spesso lanciati su queste pagine dall’intuito finissimo del direttore, e spesso destinati a luminose carriere anche in altri ambiti. Edina Altara, Giuseppe Biasi, Umberto Brunelleschi, Maria De Matteis, Marcello Dudovich, Antonio Rubino, Filiberto Scarpelli e Sergio Tofano, già noto con la sua ipersintetica sigla Sto. Indubbia è in questa pubblicazione una linea patriottica, rivolta ai bambini, di cui sono testimonianza libri assai dimenticati come I bimbi d’Italia si chiaman Balilla. I ragazzi italiani nel Risorgimento nazionale (1915) o Il segreto della vittoria (1916).
Prevedibilmente la fama di scrittore riposa sulle avventure di due discoli, assai poco attenti all’autorità paterna, a quello dello stato e della polizia, quasi portavoce di un pensiero più segreto dell’autore che nella sua versione ufficiale era invece sempre pronto a raccomandare ai suoi piccoli lettori l’ubbidienza assoluta. Ciondolino uscì da Bemporad nel 1893, in una sontuosa veste grafica, con le illustrazioni magnifiche di Carlo Chiostri.
Il protagonista Gigino, insieme a due altri bambini con cui trascorre l’estate scalmandosi in campagna, dichiara: «Io piuttosto che studiare la grammatica latina vorrei cambiarmi in un formicolino, una di quelle formicole che vanno sempre in processione, tutte in fila, e che non fanno altro che far processioni dalla mattina alla sera». Esce all’improvviso dal riparo di una pianta: «Un signore curiosissimo, con un gran paio di occhiali sopra un naso un po’ rosso nella punta, tutto sbarbato, col collo rivoltato in una gran ciarpa nera e con la persona lunga e angolosa coperta da un’ampia palandra verdognola».
Segue una metamorfosi e una esperienza di avventure e pericoli nel mondo animale (alcuni aspetti sono simili all’itinerario narrato nel mirabile Viaggio di Nils Holgersson di Selma Lagerlöf del 1906), in cui il protagonista e la sorella sono confinati per la loro decisa non volontà di studiare. Di questo gioiello, non privo di pagine crudeli, ha fatto poi una magnifica versione illustrata Vinicio Berti, nel 1952. Interessanti sono anche le Novelle lunghe per i ragazzi che non si contentano mai (1905), ma memorabile è stata soprattutto l’epopea de Il giornalino di Gian Burrasca, uscito a puntate dal 17 febbraio 1907 al 17 maggio 1908 sul Giornalino della Domenica. gioco narrativo è perfetto: tutto è incentrato sul dono che la madre (sempre assai comprensiva verso il rampollo indisciplinato) del discolo per eccellenza, riceve per il compleanno. La passione della scrittura lo porta a parassitare i diari delle sorelle, innescando una serie di catastrofi, laddove il ragazzo terribile è sempre pronto a smontare la sicumera degli adulti, che gli chiedono di dire senza dubbio la verità, mentre sono sempre i primi a cambiarla e a usare la menzogna come regola. I filologi da tempo hanno segnalato che Vamba si è ispirato al libro fortunato di una scrittrice americana, Metta Victoria Fuller Victor, che pubblicò sotto pseudonimo maschile (Walter T. Gray) nel 1880 a New York il suo fortunato A Bad Boy’s Diary, ovvero in italiano le Memorie di un ragazzaccio, edite nel 1911 da Bemporad, con meravigliose illustrazioni di Attilio Mussino. I parallelismi ci sono: peraltro l’autore dichiarava di avere ricevuto un vero diario da Ester Modigliani, traduttrice dell’opera americana.
Ma al di là della ricognizione dei modelli, Vamba è felicissimo nella definizione dei registri linguistici, perfetto nella creazione di un universo grafico con cui il giornalino narra una realtà adulta fatta di falsità e ipocrisia, che le burle dell’enfant terrible (che odia oltre ogni limite il nomignolo di Gian Burrasca che i familiari gli hanno appioppato per le ripetute disgrazie che ingenerano le sue invenzioni) fanno deflagrare nella tragicommedia del ridicolo. L’inventiva del protagonista giunge a livelli mirabolanti, quando, per sconvolgere i figli dei contadini della zia Bettina, traveste i rampolli e gli animali della fattoria per far loro rivivere l’esperienza che lui ha avuto alle Cascine con il circo delle belve di Nouma Hawa, domatrice esotica che furoreggiava in coppia con una tigre. Giannino Stoppani (Gian Burrasca) ha avuto fortuna e continua ad averla oggi: a lui è intitolata la libreria per bambini di Bologna, inaugurata nel 1983. Dopo un grazioso film di Sergio Tofano, assai stilizzato, girato nel 1942, memorabile rimane lo sceneggiato del 1964 ideato da Lina Wertmüller, con Rita Pavone, musiche di Nino Rota, scene e costumi magnifici di Piero Tosi. Assai meno incisiva la versione di Pier Francesco Pingitore per Alvaro Vitali al culmine del suo successo pierinesco (1984).