A cento anni dalla morte ricordo del padre del Verismo che qui scrisse «Storia di una capinera». I salotti, la colazione da Doney e la passione tormentata per Giselda Fojanesi
Luca Scarlini Corriere Fiorentino 29 gennaio 2022
Giovanni Verga arriva a Firenze nel maggio 1865, dopo avere abbandonato gli studi di legge a Catania, a cui lo indirizzava la famiglia. Dalla lettura della rivista La Nuova Europa gli era chiaro che l’ambiente della città, che aveva ormai salda fama di Atene d’Italia, era quello che a lui serviva per poter tentare la carriera di scrittore. Nella città siciliana a ventun anni aveva pubblicato il romanzone risorgimentale I carbonari della montagna, stampato da Galatola. Proprio la Nuova Europa gli pubblica a puntate un’altra fiammeggiante trama di politica e amore, Sulle lagune, tra l’agosto 1862 e il marzo 1863.
Nel frattempo come era proprio di ogni giovane che arrivava nella città che nel 1865 sarebbe diventata la capitale del nuovo regno d’Italia, il polo di attrazione principale era La Nuova Antologia, prestigiosissima testata, diretta con polso ferreo da Francesco Protonotari, che aveva sede in via San Gallo. Su queste pagine, molto più tardi,nel 1881, comparve una parte del romanzo più noto dello scrittore, I Malavoglia, che fece sensazione.
Salotto Rosso Borgo dei Greci
In quelle stanze circolava anche il conterraneo Mario Rapisardi, che nel 1865 pronunciò una infiammata e assai retorica Ode a Dante, nell’occasione dello svelamento della statua in Piazza Santa Croce. Meno facile per il giovane Verga fu l’accesso al salotto rosso in Borgo dei Greci di Emilia Peruzzi, potentissima dama letteraria, in cui spadroneggiava Edmondo de Amicis, ancora in divisa, che stava già dando prove di sé destinate in breve a dargli larga popolarità. Invece il giovane catanese sta nei ricevimenti dei Pozzolini e degli Assing, in cui si discute di nuove forme espressive e di politica, mentre il tema che è più in primo piano e l’arrivo della nuova nazione a Roma, dove il papa nega ogni sviluppo della storia italiana.
Caffè Doney
Il giovane Verga aveva le idee chiare, dalla sua residenza in via dell’Alloro programmava le sue giornate: «Mi alzo alle otto, dalle nove e mezzo lavoro fino a mezzogiorno, poi vado a fare colazione di caffè e latte da Doney. All’una sono di nuovo a lavorare, alle sei vado a pranzo, alle sette e mezzo faccio la mia passeggiata e se è domenica, lunedì o giovedì nelle case dove mi hanno invitato». Firenze era favorevole assai alla letteratura siciliana e nella città era assai presente il magistero di Michele Amari, che nel 1854 aveva clamorosamente pubblicato da Le Monnier la sua importantissima Storia dei musulmani di Sicilia. Questo frenetico apprendistato si riflette nei primi romanzi: in Eva (1873) la ballerina protagonista incontra il giovane Enrico Lanti alla Pergola, in Tigre reale (1875) il giovane Giorgio La Ferlita fa le prime esperienze di mondanità in riva all’Arno. Il teatro era il territorio a cui i giovani si rivolgevano per cercare fortuna, e anche Verga, che ottenne trionfi assai più tardi con Cavalleria rusticana, a Firenze si cimentò con il genere, scrivendo tra il 1865 e il 1866 I nuovi tartufi, che rimase inedita. Il testo voleva essere una satira di un mondo conservatore, con il possidente Prospero Montalti, indotto dal bigotto e arraffone Fernando Codini a mettersi in politica. A Firenze Verga scrisse Storia di una capinera, che uscì nel 1871 da Lampugnani a Milano e fu il suo primo vero successo. Al libro ha dedicato una acuta ricerca, Verga a Firenze, Irene Gambacorti, edita da Le Lettere nel 1994. Il romanzo traeva origine da una esperienza autobiografica, quando lo scrittore adolescente, in fuga da Catania con la famiglia per una epidemia di colera, si era innamorato follemente della giovane educanda Rosalia, che studiava al convento di Vizzini. La storia della protagonista, innocente e sempre ostacolata dal fato, trova il titolo in una suggestione fiabesca: «vidi una povera capinera chiusa in gabbia: era timida, triste, malaticcia ci guardava con occhio spaventato».
Giselda Fojanesi
A Firenze nacque l’amore infelice con la bella Giselda Fojanesi, letterata, che doveva recarsi a Catania come docente al Convitto Nazionale. Dalla nativa Foiano della Chiana, di cui recava anche il nome, nel 1861 si era infatti trasferita nel capoluogo per gli studi, dove aveva dato notevoli prove, concludendo a soli diciotto anni l’abilitazione all’insegnamento. Da allora fu una presenza costante nei salotti culturali cittadini, dove conobbe molti dei protagonisti del suo tempo, tra cui l’anarchico Michail Bakunin, il cui pensiero la sedusse. Nelle celebrate stanze di Erminia Fuà Fusinato, padrona di casa abilissima nell’accogliere il meglio della produzione artistica e intellettuale in città, accade l’incontro che cambia la sua vita. Nel 1869 è il momento per l’Arno di vedere una fitta comunità di siciliani a caccia di riconoscimenti: a breve distanza l’avanguardistica signorina incontra quindi Giovanni Verga e Mario Rapisardi. Sospesa tra Verga (che la usò come consulente per la vita di collegio in Storia di una capinera) a cui fu legata per tutta la vita da una amicizia amorosa e Rapisardi, gelosissimo e sospettoso, infine convolò con il secondo. La relazione a tre fece discutere a lungo: Luigi Pirandello si ispirò alla Fojanesi per il personaggio di Marta Ajala ne L’esclusa.