Il 3 maggio 1915 il governo italiano di Antonio Salandra ruppe la Triplice Alleanza, fu avviata la mobilitazione e il 24 maggio fu dichiarata guerra all’Austria-Ungheria.
L’Italia entra così nel primo conflitto mondiale che per gli altri stati europei era iniziato l’anno prima. Nel 2015 ricorrerà pertanto il centenario della Grande Guerra.
Il comitato scientifico per gli anniversari di interesse nazionale, di cui è presidente Franco Marini, è già al lavoro per avviare le commemorazioni in parallelo con i Paesi che iniziarono le ostilità nel 1914. Il comitato, composto da eminenti studiosi e personalità afferenti a differenti discipline, ha già deciso in primo luogo il restauro dei luoghi del conflitto, con riferimento particolare ai nove grandi sacrari, alcuni dei quali fuori dai confini italiani: Redipuglia, Oslavia, Montello, Asiago, Bari, Monte Grappa, Caporetto (oggi Slovenia), Bligny (Francia), Mauthausen (Austria). In seguito gli obiettivi saranno quelli di censire e restaurare i monumenti ai caduti sparsi per l’Italia, promuovere incontri nelle scuole ed organizzare mostre e convegni incentrati sulla memoria popolare.
Nel frattempo alcuni articoli nelle pagine culturali dei giornali e vari libri pubblicati recentemente cominciano a trattare i temi storici, politici, sociali e mediatici, inerenti il conflitto che per l’Italia durò dal 1915 al 1918.
In controluce già appaiono le prime polemiche e riserve critiche sul significato storico della Grande Guerra quasi a riproporre il contrasto che ci fu nel maggio del 1915 tra Interventisti e Neutralisti, gli uni tesi a celebrare il compimento dell’Unità d’Italia, gli altri a denunciare il macello dei popoli e l’assurdità di tutte le guerre: retorica nazionalista da una parte, ideologia pacifista dall’altra. Torneranno i prati è un film di Ermanno Olmi, un poetico e a tratti onirico racconto della Prima guerra mondiale, che uscirà nelle sale cinematografiche il prossimo autunno.
L’anziano regista, sempre più tolstoiano, fa però una lettura ascetica e pacifista della guerra nel suo film. Nell’episodio centrale infatti alcuni soldati intrappolati in una trincea nell’altopiano di Asiago, in una notte d’autunno del 1917, a ridosso della disfatta di Caporetto, non obbediscono ad un ordine giunto dal comando.
Olmi in un’intervista recente al giornale L’Avvenire ha dato la sua interpretazione della Grande Guerra , dichiarando che…i soldatini del ’15-’18 non si facevano domande, non si chiedevano perché fossero lì con il fucile in pugno. Erano la generazione del latifondo, ragazzi consapevoli di essere meno preziosi di una mucca agli occhi del padrone. Poveri com’erano, avevano la capacità di riconoscere i poveri che stavano dall’altra parte, in una trincea che, sull’Altopiano, poteva distare anche solo pochi passi. Si sentivano i rumori da una parte all’altra, ci si ascoltava, ci si spiava. All’occorrenza, però, ci si concedeva una tregua. Come la storia del soldato canterino, no? Una figura che ritorna da un fronte all’altro, questa del napoletano che porta il rancio cantando a squarciagola, ed è così bravo che nessuno gli spara addosso. Tutti si fermano, quando lo sentono. Un desiderio di pace che, per un attimo, si realizza…
In questa visione arcadica e pauperistica di contadini sul fronte di guerra il conflitto assume una dimensione atemporale e metastorica, il racconto si trasforma in un’elegia pacifista e di fatto stravolge il significato politico della Grande Guerra nella storia d’Italia.
In quegli anni ci fu una mobilitazione di massa tra gli italiani di ogni ceto sociale e si verificò un contatto territoriale con il Paese e con la varietà della sue realtà geografiche, produttive e sociali prima mancante. Nella babele dei molteplici dialetti sia pure a fatica si forgiò un’unità linguistica e le nozioni di Patria e Italia cominciarono a diffondersi. La morte, eroica e talora assurda nella guerra di trincea, aveva comunque riavvicinato gli Italiani alla nazione e all’idea di Patria.
Anni fa il regista Mino Monicelli nel film La grande Guerra del 1959 mostrò anche lui l’orrore e le tragedie di quel primo conflitto mondiale, raccontando la storia al fronte di un milanese, opportunista e sbruffone, Giovanni Busacca ( Vittorio Gasmann) e di un romano, vigliacco e meschino, Oreste Iacovacci (Alberto Sordi),i quali in ogni situazione drammatica salvavano sempre la pelle grazie appunto al loro opportunismo e vigliaccheria.
Ma quando sono catturati dagli austriaci e stanno per informare il nemico delle posizioni dell’esercito italiano, l’arroganza dell’ufficiale austriaco ed una battuta di disprezzo verso gli italiani («…courage?! Fegato dicono… Quelli conoscono soltanto fegato alla veneziana con cipolla, e presto mangeremo anche noi quello!») ridà forza alla loro dignità, portandoli a morire con coraggio, fucilati ambedue dagli austriaci.
Perfino nei loro cuori di ignavi il sentimento della Patria tornò a vivere, come successe anche per tanti sconosciuti fantaccini italiani di allora.
E quel coraggio e quella dignità vanno sempre ricordati nelle prossime celebrazioni della Grande Guerra e non rimossi in nome di un pacifismo di maniera e lontano da ogni verità storica!