Duecento anni di storia del Vieusseux: da Giovan Pietro a oggi
Roberto Barzanti Corriere Fiorentino 22 gennaio 2020
Dugento anni dopo. Il 25 gennaio 1820 apriva i battenti a Palazzo Buondelmonti, di faccia a Santa Trinita, il Gabinetto scientifico e letterario creato da Giovan Pietro Vieusseux (1779/1863), esperto uomo d’affari, nato a Oneglia, di famiglia ginevrina.
Stufo delle turbolenze del mercato, decise di fondare a Firenze un’impresa che si occupasse di un più calmo «commercio delle idee». Il Granducato di Toscana offriva condizioni ottimali. E venerdì con una mostra dedicata a Il Vieusseux dei Vieusseux: Libri e lettori tra Otto e Novecento. 1820-1923 (a cura di Laura Desideri), prenderà solennemente avvio un calendario fitto di incontri, conferenze, convegni, esposizioni.
Alle origini della volontà di un uomo imbevuto di una religiosità riformata, «magari non aliena — ha notato Ernesto Sestan — da commistioni illuministico-massoniche», stava la convinzione che quello era un punto adattissimo a costruire una cultura alimentata da senso pratico, da applicare e non da predicare, innestando nel dominante moderatismo una spinta progressista e patriottica. E ci voleva uno straniero per immettere in personalità in guardingo attrito tra loro un contagioso entusiasmo. Il secondo piano di Palazzo Buondelmonti divenne un crocevia dove interloquirono personalità che vi approdavano da ogni parte d’Italia e d’Europa. Mirate iniziative editoriali inoltre producevano libri utili e riviste: tra tutte spiccava la primogenita Antologia.
Il 3 settembre 1827 in una delle fatidiche serate del lunedì Alessandro Manzoni incontrò il conte Giacomo Leopardi, cortese ma chiuso in un suo ritroso silenzio, infastidito dalla loquacità impetuosa di Giovan Battista Niccolini e dalle provocatorie uscite anticlericali («È vero che credete ai miracoli?») dell’amico Pietro Giordani. Ne avrebbe riferito al padre Monaldo in una lettera freddina: «Me la passo con questi letterati, che sono molto sociali, e generalmente pensano e valgono assi più de’ Bolognesi. Tra’ forestieri ho fatto conoscenza e amicizia col famoso Manzoni di Milano, della cui ultima opera tutta l’Italia parla, e che ora è qui colla sua famiglia». Probabilmente Leopardi strinse la mano a Stendhal in un altro dei consueti ricevimenti. Nel 1828 era transitato Heinrich Heine. Nel 1835 lascia una firma un «giovane nizzardo» di nome Garibaldi. Robert Browning nel 1839. A più riprese Fëdor Dostoevskij, che nel 1868 alloggiava con la seconda moglie Anja in via de’ Guicciardini. A fine novembre si lamenta: «Adesso Firenze è un po’ più rumorosa e variopinta: per le strade c’è una calca terribile. Molta gente è venuta a Firenze in quanto capitale e la vita è più cara di prima». Nel pomeriggio aveva l’abitudine di andare a leggersi due giornali russi, in pause sottratte alla stesura delle parti finali del L’Idiota. Con la scomparsa del patron parve crollare un mondo. «Noi siamo sbandati!» sentenziò Raffaello Lambruschini. Al grido di dolore si sarebbero potuti associare personaggi più ingombranti quali Niccolò Tommaseo e il marchese Gino Capponi, che reagì rabbiosamente («quel maledetto gobbo si è messo in capo di coglionarci!») ai versi ironici scagliatigli contro da Leopardi in un’acre Palinodia.
Scorrendo il Libro dei soci a pagamento o di quanti chiedevano opere in prestito vien fuori una movimentata commedia in cinque Atti con i relativi cambi di scena. Eugenio, il nipote del fondatore, ottiene affitto dal sindaco Peruzzi il pianterreno di Palazzo Ferroni, dove il Gabinetto si trasferisce nel 1873, per poi approdare, nel 1898, in via dei Vecchietti n. 5. Sopportare gli oneri di uno stabilimento del genere era un carico fuori portata per un privato cittadino. Da Carlo Vieusseux il Credito Italiano acquistò il grosso del patrimonio accumulato e lo cedette al Comune nel ’23. All’Istituto, grazie a un decreto del 23 ottobre 1925, è attribuita la dignità di Ente morale di proprietà comunale: alla presidenza il sindaco o suo delegato con un consiglio d’amministrazione di sette membri. Dopo le tre sedi dei Vieusseux si profila una sistemazione nel Palagio di Parte Guelfa, in umidi locali ipogei.
Per la successione al direttore Tecchi è coinvolto un impacciato Carlo Emilio Gadda, che tira presto i remi in barca: «Quanto al Vieusseux io mi ci credo poco tagliato». Il presidente Paolo Emilio Pavolini presenta quindi al podestà conte Giuseppe della Gherardesca una terna da cui trarre il nuovo direttore. «Naturalmente — sottolineò Pavolini — son tutti iscritti al PNF». «Il terzo no» precisò l’estensore. «Nominiamo allora questo terzo, il non iscritto». Era costui Eugenio Montale: la sua fu una direzione storica. In una primaverile mattinata del 1933 si presenta a Montale una giovane studiosa americana che aveva letto con ammirazione Ossi di seppia. È Irma Brandeis, la Clizia sublimata in un enigmatico canzoniere. Il non iscritto Montale non era ben visto dall’ala dei fascisti più duri.
Per timore d’essere messo alla porta prepara un memoriale per farlo avere, tramite la mediazione dell’anarcoide Marcello Gallian, a Mussolini. L’11 luglio del ’38 lo interpella: «Tu sei sempre in buona amicizia con S.E. Galeazzo Ciano? E nel caso se ti mandassi il papiro, te la sentiresti di mandarlo per raccomandata e con una tua parola favorevole a Ciano, pregandolo di leggerlo e di farlo avere al Capo del Governo?». Niente da fare. Il primo dicembre del 1938 il consiglio d’amministrazione delibera di «dispensare il dottor Eugenio Montale dall’Ufficio di Direttore».
Il quinto Atto ha per scena Palazzo Strozzi ed è tuttora aperto. Protagonista ne è stato il direttore Alessandro Bonsanti, in carica fino al 1980 con eroica dedizione. Gloria Manghetti è la prima donna a gestire con sapienza filologica la complessa macchina. Anche alla presidenza è stata chiamata un donna, l’inventiva Alba Donati, che punta sulla letteratura dei nostri giorni. Che significa oggi concretizzare un cosmopolitismo all’altezza di esigenti domande? Il Gabinetto inventato da Giovan Pietro era anche un progetto civile che guardava ben oltre Firenze.