Dopo la commemorazione della battaglia di Curtatone e Montanara nella quale fondamentale fu il contributo dei volontari, si può fare una riflessione sul ruolo dei volontari nel passato e nel presente. Le tristi e dolorose vicende legate al Covid 19 hanno messo in evidenza in tutta Italia quanto sia preziosa l’opera di tanti uomini e tante donne che mettono a disposizione gratuitamente il loro tempo libero, le loro energie per coadiuvare la sanità pubblica, sostenere chi si trova in difficoltà economiche sensibilizzando chi ha di più a non lasciare solo chi si trova in situazione di disagio. Nello stesso tempo la cronaca ci ha mostrato come il concetto di volontariato si è allargato nel corso degli anni fino a comprendere non solo il soccorso in loco ma anche l’aiuto ai paesi in via di sviluppo, la cura dei beni culturali, la promozione di valori civici. Il moderno concetto di volontariato si afferma come evoluzione in tempo di pace dell’esperienza dei volontari nelle guerre risorgimentali, anche se in Italia la tradizione cattolica delle opere di carità era molto forte e ben radicata, basti ricordare l’azione plurisecolare della Venerabile Arciconfraternita di Firenze e delle sue consorelle.
Quello che caratterizza il nuovo volontariato è il carattere laico delle associazioni e la definizione di “militi” per i soci operanti, come i volontari della Croce Rossa, fondata a Ginevra nel 1864. L’origine della Croce Rossa è legata all’esperienza di Henri Dunant dopo la battaglia di Solferino, da lui raccontata in Un souvernir de Solferino.
Le battaglie dell’Ottocento erano carneficine, dovute a scontri manovrati fra eserciti contrapposti che al termine lasciavano sul campo morti e feriti. La proposta di Dunant era la formazione di uomini e donne preparati per assistere i feriti. Si passava cioè da un’azione, meritoria, dettata dalla pietà per i morti e i moribondi a un’azione in cui pietà e sentimento si coniugassero con azioni mirate, frutto di una preparazione su base scientifico-sanitaria, inserita in una struttura organizzata. È quanto avvenne dalla fondazione delle prime pubbliche assistenze, dove erano presenti medici che organizzavano corsi di formazione dei militi, spesso persone semplici, ma di ogni estrazione sociale. Si affermava il concetto che per essere volontari non bastava essere volenterosi e nello stesso tempo queste associazioni erano palestre di democrazia, grazie alla partecipazione dei soci all’elezione delle cariche associative.
L’idea che per essere volontari non bastasse essere volenterosi si è riaffermata dopo la II guerra mondiale, quando dopo la pausa della dittatura fascista, il mondo del volontariato ricominciò ad arricchirsi di nuove esperienze che includevano quelle tradizionali delle misericordie e delle pubbliche assistenze, ma cercavano di dare risposte a nuove esigenze della società allargando il loro campo d’azione. L’ispirazione di fondo andava diversificandosi con l’arricchimento di nuove suggestioni ideali. Di questo si è reso conto il legislatore, che nel 1991 con la legge 266 definiva il perimetro e il carattere delle associazioni di volontariato e ultimamente nel 2016 con la legge 106 ha riordinato il vasto mondo del terzo settore: di strada ne è stata fatta dalla legge sulle “Opere pie” del 1862! Già nel 1991 si precisava che le associazioni hanno obblighi precisi che tutelino i volontari nel loro operato. Infatti il rischio sempre in agguato è che del volontariato si abbia un’immagine edulcorata, come se fare il bene sia frutto solo dell’emozione che permette di buttare il cuore oltre gli ostacoli, come pure vicende recenti fanno pensare. Nel corso degli ultimi decenni del secolo scorso un po’ in tutto il mondo si sono diffuse le ONG che presentano alle istituzioni nazionali e internazionali progetti destinati ai Paesi in via di sviluppo, per i quali prestano la loro opera all’estero soprattutto giovani uomini e donne. È bene quindi distinguere fra volontario e cooperante, anche se li anima lo stesso spirito di solidarietà.
Pur con le trasformazioni sociali, politiche, economiche che si sono avute dal 1862 in poi, “la meglio gioventù” e chi ha un’età più matura hanno sempre sentito il richiamo di un impegno fuori degli schemi della propria vita e proprio per questo chi guida le associazioni deve avere senso di responsabilità. Del resto la legge del 1862 poneva i bilanci delle opere pie sotto il controllo delle Province, pur riconoscendone il valore sociale, visto che nell’Italia appena unita si invitavano le comunità a dare vita a opere pie che si facessero carico dei problemi a cui lo Stato non riusciva a dare soluzione. E difatti molti da tutte le parti d’Italia fino al 1870 chiesero alla Misericordia di Firenze copia dei suoi statuti e dei suoi regolamenti per dare vita a istituzioni di pubblica beneficienza.
La tradizione del volontariato in Italia è così varia che non deve essere banalizzata con iniziative che sfruttando la buona fede di chi presta la propria opera gratuitamente, li lanciano in situazioni di scarsa sicurezza che in caso di difficoltà, specialmente all’estero, richiedono interventi delle istituzioni dello Stato. Ma anche lo Stato non deve scaricare sul volontariato in modo generico la soluzione delle sue problematiche.
Non si deve dimenticare che il volontario e la volontaria fanno una scelta consapevole, che impone il sacrificio del proprio tempo con una formazione adeguata sempre rinnovata e che non può essere fatta decadere a facile scorciatoia per tamponare le carenze del sistema. Alessandra Campagnano